La recente scomparsa di Socrates, il capitano della nazionale brasiliana di calcio che solo una stratosferica Italia riuscì ad eliminare dal Mundial del1982, mi ha spinto a dedicare il primo post di questo sito al calcio, un tema di per sé un po’futile, ma che da sempre riempie di pathos e di emozioni gli animi di molte persone. In un’epoca in cui il calcio nostrano non vive certamente una stagione d’oro (scandali, declassamento nei ranking UEFA, problemi legati al Fair Play finanziario…), non si può non notare come i calciatori più forti del mondo, si pensi a Messi o a Cristiano Ronaldo, dimorino lontano dalla Serie A e per di più ci si permette di far partire talenti assoluti quali ad esempio Balotelli, arricchendo il parco giocatori della Premier League inglese.
Gran parte di tutto ciò non accadeva nei primi anni Ottanta, quando da poco erano state riaperte le frontiere calcistiche in Italia ed iniziavano ad arrivare i primi calciatori stranieri.
Era il 1984, l’Italia si era laureata campione del mondo 2 anni prima e nel guardare la copertina del mio primo album di figurine dei Calciatori, stagione 1984-85, si aveva la sensazione che il meglio del calcio mondiale fosse proprio qui da noi, (i risultati, poi, lo confermano, considerando che nei 16 anni successivi al mitico mondiale spagnolo l’Italia ha portato una propria squadra in finale di Coppa dei Campioni per ben 12 volte). Eccoli, dunque, in ordine sparso i vari campioni presenti nella serie A italiana in quella stagione: Michel Platini, 3 volte pallone d’oro e vincitore di tutti trofei internazionali con la Juventus, 3 volte capocannoniere e vincitore dell’Europeo francese nel 1984, arrivò a Torino insieme al polacco Zbigniew Boniek, giocatore di punta della Polonia, classificatasi terza nel mondiale del 1982, Paulo Roberto Falcao, per molti romani l’ottavo re di Roma, arrivò in Italia nel 1980 e portò i giallorossi a vincere uno scudetto dopo 40 anni e sfiorando, insieme ad un altro elemento della nazionale verde oro, Toninho Cerezo, la conquista di una storica Coppa dei Campioni, persa in casa ai calci di rigore nel 1984 contro il Liverpool, capitanato dallo scozzese Graeme James Souness, che subito dopo si trasferì in Italia, passando alla Sampdoria e portandola alla vittoria di 1 coppa Italia, che si aggiunse al suo ricco palmares che, tra i tanti trofei, annoverava ben 3 Coppe dei Campioni; e ancora Karl-Heinz Rummenigge, uno dei più forti centravanti della storia, vincitore di 2 palloni d’oro e di tutti i trofei per club immaginabili, passò dal Bayern Monaco all’Inter affiancando il regista della nazionale irlandese, Liam Brady,arrivato in Italia 4 anni prima dopo i fasti con l’Arsenal. Tornando, poi, agli elementi dello squadrone brasiliano, sembrava davvero incredibile che potessero essere arrivati quasi tutti in Italia: Leovegildo Lins da Gama Júnior, acquistato dal Flamengo, fece le fortune del Torino, prima, e del Pescara di Galeone, poi; Arthur Antunes Coimbra, noto come Zico, il calciatore più estroso della formazione che, dopo aver vinto tutto col Flamengo approdò, quasi a sorpresa, all’Udinese, andando ad affiancare un altro brasiliano, il libero Edino Nazareth Filho, meglio noto come Edinho, arrivato qualche anno prima. E poi torniamo a Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, il “dottore” (perché laureato in medicina), capitano della nazionale verdeoro, arrivato a Firenze, dove già era presente il fortissimo centrale difensivo argentino, Daniel Passarella, campione del mondo nel 1978, per portare in alto la squadra viola ma che incappò in una stagione negativa, in cui agli allenamenti preferiva le pinte di birra e la lettura, le visite ai musei,… Ma la sua grandezza, calcistica ed umana, non potrà mai essere dimenticata, il suo gol del momentaneo 1-1 segnato nel 1982 a Zoff, infilando la palla tra palo e portiere, è fisso nella memoria degli italiani al pari dei tre gol di Paolo Rossi. Socrates ebbe un’idea sociale del calcio, a volte anche utopistica, introdusse col suo Corinthians una sorta di autogestione per 3 anni; fu, ancor prima di essere un gran calciatore, un grande uomo, di grandi valori, ma anche con le sue debolezze. Dulcis in fundo, quello che non riuscì con Pelé negli anni 60 accadde nel 1984 con il calciatore più forte della storia: Diego Armando Maradona, che arrivò a Napoli dal Barcellona e nell’arco di 6 anni la portò a vincere gli unici 2 scudetti della storia partenopea, 1 coppa Italia, 1 coppa UEFA ed 1 Supercoppa di Lega. Nel mentre, non servirebbe neanche ricordarlo, si laureò Campione del Mondo con l’Argentina nel1986 in Messico, trascinando quasi da solo la nazionale biancoceleste e segnando il goal più bello della storia nei quarti di finale contro l’Inghilterra.
Completavano poi la galleria di campioni presenti in Italia (ricordiamo che erano consentiti solo 2 stranieri in rosa e che la serie Aera composta da solo 16 squadre) i vari Hans-Peter Briegel, mastino difensivo tedesco che contribuì insieme al danese Preben Larsen Elkjaer alla conquista dello storico scudetto del Verona, nel 1985, Michael Laudrup, altro danese dal grande talento che giocava nella Lazio e che poi conquistò numerosi trofei con Juventus, Real Madrid e Barcellona e, ancora, Ramon Angel Diaz all’Avellino, il brasiliano Dirceu José Guimarães all’Ascoli e molti altri ancora. Di sicuro questo post non riscuoterà il successo del film, “l’allenatore nel Pallone” (che in fondo celebrava proprio la maestosità di quella stagione agonistica), ma spero possa essere un piacevole ricordo per i nostalgici appassionati di calcio.
Il grandissimo dottore, l’ho conosciuto di persona, grande carisma, nella sua semplicità, ma con quel qualcosa dentro che anche se non ostentato si percepisce eccome.
Ci mancherà, come ci manca quel calcio, quelle figurine, al pari degli stadi traboccanti di gente attaccata ad improbabili balaustre e recinzioni varie, quel calcio lento ma di una classe nitida e cristallina, che la velocità dei super atleti moderni ha annacquato in una gran confusione e una gran noia.