Non andavo ancora a scuola quando i miei fratelli tornarono da casa di Cecilio con un disco con una copertina che tendeva al color arancione e ricordo che al primo ascolto rimasi impressionato da qualche sparuta parolaccia e dal primo brano: la Canzone di Marinella appariva molto diversa da quella melodia che mio padre suonava col mandolino, tenendo fede alla versione di Mina.
Sono appena tornato dal Cinema, dove oggi, insieme a Cecilio, ho visto “De André e la PFM, il Concerto ritrovato”, docu-film curato da Walter Veltroni, e non mi è difficile ammettere di aver ascoltato quasi tutte le canzoni con gli occhi lucidi: alle prime note di chitarra classica dell’introduzione di Franco Mussida ho visto di nuovo la puntina del vecchio giradischi di casa, poggiarsi sul vinile con al centro la grande “R” di Ricordi; mio padre non c’è più, ma sarebbe venuto sicuramente al cinema oggi per vedere, una volta per tutte, in che modo De André arpeggiasse in 4/4 il brano che lui riusciva a suonare solo a ritmo di valzer. Avremmo potuto scoprire insieme chi ci fosse, in Via del Campo, con “gli occhi verdi, color di foglia” e sicuramente non avrebbe abbassato il volume, e non avrebbe potuto farlo neanche quando in Un giudice De André prima spiega e poi canta “…è una carogna di sicuro, perché ha il cuore troppo, troppo vicino…” ad un’altra parte del corpo, meno nobile: quanti furtivi ascolti fatti solo per sentire quei due-tre versi “proibiti”…
Quando qualche mese fa è apparsa la notizia del ritrovamento di un video “semi-professionale”, girato a Genova, durante una delle tappe del celebre Tour di fine Anni Settanta di Fabrizio De André con la PFM, ci ho messo pochissimo a catalogarlo fra le decine di fake news che quotidianamente riempiono la rete ed i social, al pari delle fantomatiche reunion dei Pink Floyd o dei Talkin’ Heads.
Quando le principali testate hanno iniziato a rilanciare la notizia, sebbene ancora incredulo, ho cominciato a sperare in una pubblicazione nel più breve tempo possibile; come ho scritto anni fa in un altro post dedicato a De André, era Febbraio 1998, esattamente un anno prima della morte di Faber, quando, io e alcuni miei amici di Borrello, anche loro appassionati di De André, rinunciammo a vederlo live a Pescara, per passare una serata a bere qualcosa, perché raramente riuscivamo a stare tutti insieme: non ce lo siamo mai perdonato, ma per me, almeno idealmente, il cerchio si è finalmente chiuso oggi, sempre a Febbraio, e, anche se purtroppo non dal vivo, sono qui a descrivere una vera cascata di emozioni.
La struggente e più che autobiografica Amico fragile, l’introduzione de La guerra di Piero, di cui suono mentalmente ogni singola nota, insieme a Flavio Premoli, la delicata storia di Teresa, costretta dall’ambiente vitelloniano medio-borghese, ad “abortire il figlio del bagnino e poi guardarlo con dolcezza” nel brano Rimini sono letteralmente tuffi al cuore.
La non eccelsa qualità del video non riesce a sminuire neanche mezzo sentimento: Volta la carta mi riporta la mente ad una delle mie prime esecuzioni in pubblico, circa trent’anni fa, in piazza; la visione di Avventura a Durango, col violino di Lucio Fabbri a fare il controcanto, mi fa pensare che spesso le cover hanno anche qualcosa di più interessante rispetto all’originale (scritta da Bob Dylan e ugualmente di notevole spessore); Bocca di rosa mi riconduce al 2005 quando, per lavoro, sono stato a Genova, al Salone Nautico, zona porto, (ossia lo stesso ambiente che ospitò il Concerto nel 1979) e per diverse mattine mi sono alzato prestissimo per andare alla scoperta dei luoghi del cantautore genovese, dalla Stazione di Sant’Ilario alla già citata Via del Campo, fino ai viottoli (le creuze) che portano al mare.
Io e Cecilio ascoltiamo e analizziamo musicalmente ogni secondo, ogni minuscolo dettaglio, conosciamo a memoria la versione del disco, commentiamo le differenze, facciamo qualche sorriso quando ci accorgiamo di qualche piccolo imprevisto, pensando “beh, vedi…accadeva anche ai più grandi…”; questo è il bello del video, c’è poca “pulizia” postuma, nessun editing, nessun’opera di re- mixaggio, o comunque minima.
Il film/concerto si chiude con Il pescatore, forse il brano simbolo del connubio PFM-De André, un esperimento musicale che ha cambiato il modo di ascoltare la musica in Italia e che in parte ha cambiato anche gli Italiani stessi.