Nei miei precedenti post ho spesso fatto riferimento alla situazione economica generale degli ultimi anni, sia mondiale, sia europea, sia nazionale. Purtroppo nella macroeconomia non vi è una ricetta magica che possa risolvere in un colpo tutti i problemi, ma ci si augura sempre che tra le varie leve azionabili dalle istituzioni si riesca quantomeno a non scegliere quelle del tutto errate o controproducenti, o per lo meno inutili in un determinato momento storico.
Ecco allora che spesso ho scritto, seppure in maniera molto semplicistica, della necessità di non perseverare con politiche ispirate esclusivamente all’austerity e ho ricordato che il mercato, se lasciato libero d’agire, da solo, non riuscirà mai a regolare al meglio il sistema. La teoria classica pura credo sia perciò anacronistica. Ecco allora più volte ribadita la necessità di politiche economiche in un certo modo “espansive”, siano esse monetarie o fiscali, le uniche in grado di poter far ripartire l’economia in una situazione di crisi stagnante come quella conosciuta negli ultimi anni.
Oggi mi trovo a scrivere un piccolo post con il timore di essere in futuro smentito, ma con la consapevolezza che qualcosa si sia mosso. Solo il tempo potrà dire quali saranno gli effetti, le entità, i benefici immediati sulle aziende e sulla popolazione. Nei primi giorni di Marzo la Bce ha iniziato ad immettere liquidità sul mercato acquistando titoli di stato per circa 60 miliardi di euro al mese. Ecco, allora, finalmente, un esempio di politica “espansiva”! Si tratta del cosiddetto quantitative easing, spesso definito nei telegiornali il “cannone di Mario Draghi”.
Il q.e. funziona così: la banca centrale stampa moneta e con i soldi “nuovi” compra sul mercato titoli di Stato e di altra natura. Così facendo aumenta la liquidità sul sistema finanziario, sperando che essa arrivi poi all’economia reale; da tale operazione potrebbero discendere diverse conseguenze benefiche: per esempio lo spread tra i Btp e i Bund nei giorni successivi all’operazione è sceso anche al di sotto degli 85 punti base – un livello che non si vedeva dal 2008, il che permette al nostro paese (e ad altri paesi dell’Eurozona) di pagare meno interessi sul proprio debito, risparmiando circa 5 miliardi in un anno, che possono poi essere utilizzati per dare un sostegno all’economia.
A cascata, le banche hanno più liquidità che dovrebbero usare per finanziare famiglie e imprese. In sostanza, rafforzandosi il patrimonio degli istituti di credito, questi ultimi potrebbero essere spinti a dare più soldi in prestito. Tuttavia le famiglie dovrebbero comunque dare le solite garanzie altrimenti le banche saranno poco propense a concedere mutui e le imprese dovranno utilizzare gli eventuali finanziamenti per investimenti e non per pagare i debiti precedentemente contratti. Quindi il passaggio di denaro dalle banche alle imprese avverrà in misura tanto più forte quanto più validi saranno i nuovi piani di investimento aziendali.
Oltretutto, se ci sono più euro in circolazione, il tasso di cambio si indebolisce rispetto alle altre principali valute, in particolare il dollaro, rendendo le nostre esportazioni più competitive (al di fuori dell’area euro). Il rovescio della medaglia è che le importazioni diventano più costose, ma per fortuna in questo momento il prezzo del petrolio è discretamente basso e quindi forse non dobbiamo “pagare” un conto energetico troppo salato. Quindi forse si prospetta un mix di condizioni favorevoli alla così tanto desiderata ed attesa ripresa. La manovra, quindi, si spera possa dare una spinta ai consumi e alla crescita dei prezzi. Se tra gli operatori economici di Eurolandia si diffonderà maggiore fiducia, vi sarà anche un aumento delle aspettative sull’inflazione futura. Oggi sappiamo che i Q.E. attuati dalle banche centrali di Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone hanno dato risultati non univoci, funzionando bene in alcuni (Usa), in altri meno. Speriamo bene!