Sono le 8 di sera del 29 Maggio del 1985, ho compiuto da poco 9 anni e attendo da quasi un mese il fischio di inizio della “partita delle partite”, la gara più importante della mia squadra del cuore. Di quel giorno ricordo ogni dettaglio, dalla ricreazione a scuola alla campanella finale, dai compiti fatti in fretta e in furia per poi andare a giocare a pallone davanti casa fino ai preparativi per assistere a casa mia, insieme ai miei fratelli e a molti amici, a Juventus-Liverpool.
E’ tutto pronto: la cena rigorosamente anticipata, il televisore spostato sul carrello girevole per esser portato dalla sala alla cucina; non era ancora l’epoca di internet e di facebook e così, oltre alla tv il mio fratello maggiore ha anche sintonizzato una radio per carpire le prime anticipazioni; ad un certo punto noto di colpo uno sguardo strano nel volto di mio fratello Giovanni, che sta ascoltando appunto qualcosa in cuffia, gli do poco peso, parte il collegamento TV e ci sono per lo più immagini fisse su una zona del campo, il tutto mi sembra davvero strano, ma il bambino di 9 anni aspetta solo l’ingresso in campo, vuole vedere Scirea scambiare il gagliardetto con il capitano del Liverpool, non può pensare ad altro.
Trascorrono i minuti e Bruno Pizzul lascia intendere, in maniera inizialmente blanda, che c’è stato qualche tafferuglio e che forse ci sono stati dei feriti; io intanto spesso mi distraggo per parlottare o scherzare con i miei amici. Ad un certo punto inizia a squillare il telefono, arrivano 6-7 telefonate nell’arco di pochi minuti e la risposta dei miei genitori è sempre la stessa, laconica: “No, no, Giovanni alla fine non è andato, hanno annullato tutto qualche giorno fa, per fortuna”. Mio fratello infatti aveva da un mese bloccato un posto per andare a Bruxelles, ma, pochi giorni prima del match, fu avvisato dal club di Lanciano circa l’annullamento del viaggio.
Intanto sono quasi le 9 e sul campo si vedono solo tifosi che corrono, che si fronteggiano, sembrano nulla più che schermaglie (ahimè il peggio era già avvenuto, ma non in diretta TV).
Inizia ad essere tardi e sto per andare al letto, quando scende in campo Scirea per annunciare che la partita sta per essere giocata; viene sgomberato il campo, entrano le squadre, inizia l’incontro: ingenuamente il cuore si riempie di nuovo di contentezza, per me sembra essere tornato tutto alla normalità, sì mi rendo conto che c’è stato qualcosa di grave, qualche incidente, feriti, ma ormai la partita è iniziata. Le squadre si affrontano in maniera avvincente, dopo un po’, però, stremato, mi addormento sul divano e quando mi sveglio vedo i calciatori della Juve esultare sotto la curva. Chiedo risultato e marcatori e vado a dormire felice.
Il giorno dopo, prima di entrare a scuola, passo dal giornalaio per comprare la Gazzetta dello Sport, ansioso di vedere le immagini di Platini con la Coppa in mostra ed è lì che per la prima volta scopro l’inferno: copertina e oltre 10 pagine che mostrano solo cadaveri, feriti, dichiarazioni di capi di Stato, altro che coppa, altro che Platini, altro che “partita delle partite”.
Credo di poter dire che in quel momento non mi son sentito più un bambino di 9 anni, qualcosa si era inceppato, il giocattolo, è proprio il caso di dirlo, si era rotto. Guardo i vari tg in famiglia nei giorni successivi e di Platini nessuna traccia, mi rendo conto che forse il giocattolo, oltre ad essersi rotto, non si aggiusterà mai più, non potrà giocarci mai più nessuno, non solo io. A me resta solo la foto della targa commemorativa inviatami l’anno scorso da mio fratello quando si è recato in visita proprio allo stadio di Bruxelles.
Il tempo, poi, spiegherà tante cose su quella coppa maledetta, forse quello stadio non era adatto, forse troppi biglietti venduti, ai giocatori è stato imposto di giocare, forse non era stato detto loro tutta la verità, loro, ingenuamente hanno fin troppo esultato; dopo pochi mesi, grazie a quella vittoria sanguinosa, la Juve poté addirittura giocare e vincere la Coppa Intercontinentale in una memorabile partita, ma quella Coppa dei Campioni resterà solo nell’albo d’oro, non sarà mai stata vinta.
Oggi ricorre il 30esimo anniversario della tragedia dell’Heysel, da allora gli hooligans sono quasi spariti, in compenso i tifosi italiani sono peggiorati, riescono ancora a rendersi protagonisti di omicidi, atti di teppismo, guerriglie. Gli stessi ultrà della curva juventina pochi giorni fa a Torino hanno pensato ad un ricordo davvero vibrante e toccante durante il 39esimo minuto, mostrando i nomi di tutti i tifosi rimasti uccisi quel giorno a Bruxelles, ma dopo pochi minuti hanno alzato inni a favore del Vesuvio contro il “Napoli colera”. Credo il problema sia soprattutto educativo, culturale; non possiamo che confidare nelle nuove generazioni, in quei bambini che oggi hanno 9 anni e spero possano averne, da tifosi, sempre gli stessi, per tutta la vita, così da non avere mai voglia di rompere un giocattolo, né il loro, né quello di altri bambini, che tifano per altre squadre.