Il mio primo approccio con la musica progressive risale al periodo universitario ed è legato ad un interrogativo. Fino a quel momento avevo divorato buona parte della musica dei cantautori italiani e avevo ascoltato per lo più i classici della musica pop e rock internazionale, dai Beatles ai Queen, dai Dire Straits ai Pink Floyd, da Michael Jackson a Madonna…
Fin da bambino, però, ero stato circondato da persone più grandi (i miei fratelli, i cugini, i loro amici…) e spesso erano arrivate alle mie orecchie musiche strane, sonorità a volte cupe, altre un po’ buffe, in cui in alcuni momenti si sentivano violini o flauti e sembrava di ascoltare musica classica, in altri i suoni potevano diventare ruvidi, distorti, sfociando in un rock deciso.
Non so come, né esattamente quando, ma, come detto, ad un certo punto un quesito, di otto parole, cantato a cappella, iniziò a tormentarmi e al tempo stesso affascinarmi: la voce era quella di Peter Gabriel, che apriva un disco dei Genesis, datato 1973, dal titolo “Selling England by the Pound”, uno spartiacque per la mia conoscenza musicale e non solo; cambiò il mio modo di pensare, di analizzare le cose e di affrontare la vita.
Giorno dopo giorno, ora dopo ora, mi addentrai in un universo a me fino ad allora quasi sconosciuto e nell’arco di due-tre anni scoprii i dischi principali di gruppi quali King Crimson, Genesis, Yes, Jethro Tull, P.F.M., Banco del Mutuo Soccorso, Camel, Emerson Lake and Palmer, Van der Graaf Generator, Le orme…
Non era ancora l’epoca degli mp3, né di youtube, pertanto l’approfondimento musicale era legato a duplicazione su cassetta da cd, da vinili di amici e parenti, o all’acquisto di qualche ristampa su cd, a prezzi economici e alle prime masterizzazioni di fortuna.
Ma perché tanta ammirazione verso quella musica? Dopo ogni ascolto di un brano progressive avevo la sensazione di aver imparato qualcosa, di essermi arricchito, di essere cambiato, nell’anima e soprattutto nella mente, perché il Progressive è una musica per la crescita della mente. Fin dai primi ascolti notai che gli artisti che si erano cimentati in quel genere sembravano non aver prodotto (quasi) mai qualcosa di scontato. Fino alla metà dei Sessanta il rock era stata musica giovane per i giovani, musica per ballo, a volte sballo, divertimento, disimpegno. Con l’affermarsi del Progressive, nato sul finire degli Anni Sessanta, affiancandosi al filone psichedelico, ed esploso durante tutti i Settanta, la musica rock scoprì di non avere più confini, diventando colta, alta, iniziando ad attingere da arte, letteratura, storia, classici, mitologia, sacre scritture…
I testi iniziarono ad essere profondi, impegnati, a volte anche al confine dell’incomprensibile, ma mai banali; la cultura iniziò a trionfare sul ritornello, ma soprattutto fu dato spazio alla musica, che prese anch’essa ispirazione dal repertorio classico, producendo lunghe suite, riempiendo spesso una facciata intera di un 33 giri.
Insomma il contagio fu totale e molti artisti, sebbene non esponenti di quella corrente, vollero almeno in parte o in qualche occasione cimentarsi con esperimenti musicali ispirati al Progressive, a volte con un disco intero, altre con qualche brano inserito in un disco più commerciale. Anche nel modo di fare musica dei dilettanti, delle band giovanili, tutti iniziarono ad avere voglia di fare qualcosa di diverso, di ricercato (ovviamente i risultati non furono sempre soddisfacenti).
Le caratteristiche principali del Prog-Rock vanno viste nei rapidi cambi di tempo, nei repentini passaggi da assoli di chitarra elettrica a tappeti di archi (ricordiamo per esempio i King Crimson), da arpeggi di chitarre a 12 corde a fondi di hammond e mellotron (in questi furono maestri i Genesis), in brani a volte di ispirazione barocca (si pensi in alcuni casi agli Yes), altre volte orientaleggianti (si vedano gli Area o il primo Battiato), in gruppi a volte vicini alla cultura folk (per esempio i Jethro Tull o gli Osanna, o il primo Alan Sorrenti, autore di un album sorprendente, dal titolo Aria, vera pietra miliare del Progressive tricolore), altre dediti alla rivisitazione di grandi classici (pensiamo ad Emerson, Lake and Palmer e alla loro versione rock dei “Quadri ad un’esposizione” di Mussorgsky o ai Procol Harum che sul giro dell’”Aria sulla quarta corda” di Bach costruirono il loro cavallo da battaglia, “A Whiter Shade of Pale”).
Negli anni successivi ho potuto apprezzare alcuni elementi della musica degli Anni Ottanta, alcune interessanti sonorità dei Novanta, splendidi esempi di musica elettronica, per non parlare dei grandi storytellers americani, spesso tutti racchiusi sotto la stessa etichetta di musica rock, ma credo che il contributo dato dal Progressive a tale genere sia unico, irripetibile, una decade di note e di poesie che è riuscita a cambiare la musica ed anche le persone.
Nella pagina MUSIC di questo sito vengono presentati 15 dischi esteri e 15 italiani tra i principali della storia del Rock Progressive.
Qui di seguito propongo un breve campionamento da me fatto di “Dancing with the moonlit knight”, brano che apriva nel 1973 il disco “Selling England by the Pound” dei Genesis, che esordisce col già tante volte citato quesito: “Can you tell me where my country lies?”