Il mio primo ricordo legato al jazz risale ad un tardo pomeriggio estivo di metà anni Ottanta: era poco prima di cena e io giocavo con i miei amici davanti casa a Borrello, in provincia di Chieti. Partirono in macchina in cinque, compresi mio padre e il mio fratello maggiore, per recarsi ad un concerto del Pescara Jazz. Avevo 10 anni e non nutrivo alcun interesse verso la musica jazz.
Solo una quindicina d’anni più tardi ho iniziato ad avvicinarmi al genere, iniziando ad ascoltare i 33 giri di mio cugino. Tra i vari LP a disposizione ve ne erano alcuni di Miles Davis e ascoltandoli notai fin dall’inizio che erano “diversi” dagli altri, avevano un sound particolare avevo la sensazione che il suono non scaturisse da un’azione fisica, meccanica, da un gesto umano, le note sembravano essere suonate solo con l’anima. Ascoltavo un assolo di Miles Davis e mi accorgevo che non arrivava mai la nota che mi aspettavo, non c’era mai una frase musicale scontata.
Qualche tempo dopo capii di essermi imbattuto semplicemente nell’uomo che più di tutti ha contribuito a cambiare il corso della storia del jazz e probabilmente della musica tutta, aprendo nuovi orizzonti nella contaminazione dei diversi generi musicali, giocando sempre d’anticipo e lanciando, tra l’altro, molti musicisti sulla strada della notorietà. Miles Davis ha rappresentato a mio avviso un cardine della storia musicale del Novecento. Forse per rendere l’idea di cosa sia stato questo artista basterebbe ricordare cosa rispose a una signora che, durante una cena di gala alla Casa Bianca, gli chiedeva cosa avesse fatto di particolare per meritare un invito presso una dimora così alta: «… ho cambiato la musica cinque o sei volte, penso sia questo che ho fatto…». Lo scorso Settembre è stato il ventesimo anniversario della sua morte, e mi è sembrato doveroso dedicare qualche riga a questo genio della musica.
Volendo sintetizzare al massimo il contributo dato al jazz da Miles Davis, va ricordato che mosse i suoi primi passi nel quintetto di Charlie Parker, imprimendo da subito una prima decisiva svolta nel modo di suonare e concepire il Jazz; ne è testimonianza il disco “The birth of the Cool” (registrato nel 1949 e pubblicato nel 1954). Poi arrivò il periodo dello storico quintetto degli anni ’50, formato insieme a John Coltrane, Red Garland, Paul Chambers e Philly Joe Jones: una delle migliori espressioni dell’hard bop.
Miles Davis iniziò presto a sperimentare nuove sonorità, e fu così che nacque il jazz modale, fatto di improvvisazioni basate non più sugli accordi, ma sulle scale, e il vero spartiacque è rappresentato dall’album “Kind of Blue” (1959), il disco più venduto e per molti critici il più bello della storia del jazz. Da quel momento in poi nulla è stato più come prima, nel genere si sono aperte nuove strade, nuove frontiere.
Negli anni Sessanta Davis fondò un nuovo storico quintetto con Herbie Hancock, Wayne Shorter, Ron Carter e Tony Williams e quando, sul finire della decade, il jazz sembrava diventare un genere morto, spiazzò tutti, avvicinandosi gradualmente al rock e alla strumentazione elettrica. L’album “Bitches Brew”(1971) segna un’altra delle svolte epocali impresse dal genio dell’Illinois alla musica, sancendo la nascita del jazz rock e aprendo la strada al fenomeno della fusion.
Per l’ennesima volta la musica di Miles Davis si stava evolvendo, adeguandosi ai tempi e ai cambiamenti sociali.
Ritiratosi per 6 anni, riapparve sulle scene agli inizi degli Anni Ottanta e, stupendo di nuovo tutti, prima di morire nel 1991, iniziò ad esplorare le nuove sonorità, dall’elettronica al funky, dal rap al pop, facendo storcere ancora il naso ai puristi del jazz. Per l’ennesima volta riuscì a stupire tutti.
Concludendo, nella mia vita ho assistito a diversi concerti interessanti (Bob Dylan, Genesis, Keith Jarrett, Jethro Tull, Paco de Lucia, Franco Battiato, Ornette Coleman, Francesco De Gregori, Depeche Mode, Lou Reed, Peter Gabriel, PFM, Francesco Guccini…), ma due sono stati e saranno per sempre i crucci più grandi: non aver potuto mai assistere ad un concerto di Fabrizio De André e non aver mai visto dal vivo Miles Davis.
Se in quel pomeriggio di Luglio del 1986 qualcuno tra i miei familiari e paesani mi avesse portato al PescaraJazz, forse mi sarei annoiato e quasi sicuramente addormentato, ma oggi avrei un cruccio in meno.
Qui di seguito una brevissima registrazione amatoriale in ricordo del concerto tenuto da Miles Davis a Pescara il 27 Luglio 1986
tanto per cominciare metto a scaricare subito Kind of Bllue xkè non credo di averlo…e ti faccio tanti complimenti perchè hai descritto in maniera molto personale la grande storia di Miles Davis.
aspetto il secondo scritto su ..???