Ventitré anni fa mi avvicinavo agli studi universitari e quasi quotidianamente mi assalivano dubbi legati alla scelta fatta: come avrei potuto conciliare imprenditorialità, profitto, marketing e fatturati, con la mia visione piuttosto “sociale” della vita? L’individualismo, la ricerca del successo ad ogni costo, la carriera, l’organizzazione aziendale e del lavoro apparivano con fattezze quasi mostruose ai miei occhi. Il corso di laurea in Economia Aziendale sembrava mostrarsi ostico sotto molteplici punti di vista, da quello contenutistico a quello motivazionale. Oggi fortunatamente posso dire di aver fatto a suo tempo una scelta non del tutto sbagliata, che mi ha permesso di trovare un lavoro dopo meno di anno dalla laurea e che, grazie alla poliedricità del corso di studi, mi permette oggi di poter insegnare a scuola, forse uno dei miei sogni, a volte nascosto, altre volte palesato, fin dai tempi delle scuole superiori.
Sta per iniziare un nuovo anno scolastico e nel nostro Istituto abbiamo impegnato la settimana che precede l’inizio delle lezioni concentrandoci sulla didattica per competenze, da molti vista come il gold standard verso cui dovrà tendere l’insegnamento negli anni a venire, ma per altri ancora vissuta come un’entità mostruosa a più teste che tende ad annientare i principi della didattica tradizionale classica, basata essenzialmente sulla trasmissione delle conoscenze, prediligendo metodologie didattiche convenzionali.
Fin dal primo giorno in cui ho messo piede a scuola, ho notato che molte cose erano cambiate dai tempi in cui la frequentavo da alunno: la scuola in passato (e in parte ancora oggi) è stata impostata in maniera prevalente sull’insegnamento di saperi già elaborati e codificati, ma la vera sfida per il futuro è perseguire l’apprendimento e, quindi, arrivare a valutare non solo ciò che lo studente sa, ma anche e soprattutto ciò che sa fare e come sa essere. E questo potrà accadere solo con la didattica per competenze. Gli studenti sono cambiati, quest’anno diventano maggiorenni i ragazzi nati nel XXI secolo, nel nuovo millennio. Sono ragazzi che non sanno cosa significhi aspettare una lettera o una telefonata a casa, che vivono (s)connessi 24h, che non ascoltano il telegiornale dall’inizio alla fine “perché tanto le cose le scopro da internet, o meglio, da Facebook!”. E’ con loro che dovremo confrontarci, ed è esclusivamente il loro bene l’obiettivo della nostra azione educativa e didattica. A volte sarà più facile, altre meno, a volte occorrerà essere più rigorosi, altre meno. Sarà nostro compito sviluppare in loro il maggior numero possibile di competenze, affinché, nella vita, possano avere capacità di problem solving nel maggior numero di casi possibile. La perifrastica passiva, gli integrali, le derivate, la partita doppia, il diritto commerciale, la tavola periodica degli elementi non perderanno valore o importanza, anzi, ne acquisiranno sempre di più, soltanto quando tali saperi saranno perfettamente integrati con le competenze, ossia quel “saper fare” ad ampio spettro che da’ un senso autentico e motivante alle cose apprese e utilizzate.
In accordo con quanto definito a livello comunitario e, a più riprese, recepito nell’ordinamento italiano, la competenza può essere vista come “la capacità dimostrata di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale”.
Pur riconoscendo di vitale importanza i contenuti disciplinari, non posso che essere d’accordo con questa visione della didattica che “va oltre”, che non si ferma a quanto fatto fino ad ora, solo perché “nella scuola italiana si è sempre fatto così e quindi così va bene”. Una cosa che mi ha particolarmente colpito in questi primi anni di insegnamento è stata una certa riluttanza di molti colleghi ad abbracciare il nuovo; spesso alla pronuncia della parola “competenza”, scattano ancora piccoli momenti di ilarità, o di atteggiamento di sprezzo, lo stesso che, poi, accompagna quasi tutte le novità che vengono introdotte nel modus operandi del settore pubblico. Spesso prevale in molti di loro il timore che i contenuti disciplinari possano risultare sminuiti, ma non è così: la trasmissione delle conoscenze rimarrà sempre uno degli strumenti principali dell’operato del docente, ma va messo necessariamente a servizio degli alunni; occorre agire attraverso un approccio formativo che coinvolga le potenzialità cognitive, pratiche ed emotive degli alunni, le loro energie naturali e che contempli tutte le occasioni di apprendimento accessibili, interne ed esterne.
Tornando alla mia esperienza personale, mi trovo in una fase in cui cerco di imparare quotidianamente dai colleghi molto più esperti e a loro sono grato per gli insegnamenti e per il supporto e, dal mio canto, cerco di fornire il mio (ancora) piccolo contributo, attingendo dal mio bagaglio pregresso, ossia il mondo aziendale, ed è proprio su questo fronte che con sommo piacere ho constatato come anche la scuola abbia finalmente puntato su una delle otto competenze chiave per l’apprendimento, le competenze di imprenditorialità, e si badi bene che non è assolutamente un’eresia, così come potrebbe apparire alla mera lettura del termine. Leggendo i vari punti del “sillabo dell’imprenditorialità”- elaborato dal MIUR per la scuola secondaria di secondo grado – si capisce come tra gli obiettivi a cui la scuola italiana vuole tendere, ce n’è uno nobilissimo, che punta a sviluppare negli studenti attitudini, conoscenze, abilità e competenze, utili non solo per un loro eventuale impegno in ambito imprenditoriale, ma in ogni contesto lavorativo e in ogni esperienza di cittadinanza attiva. Si tratta pertanto di competenze trasversali e di competenze per la vita (cfr. circolare ministeriale n. 4244 del 13/3/2018).
Ecco allora che inizio a trovare qualche risposta alle tante domande etico-sociali che mi ponevo da universitario, eccomi scoprire i mille nobili risvolti legati alla cultura imprenditoriale, da intendere non necessariamente sotto il profilo esclusivamente economico, finanziario o manageriale. Valorizzazione delle proprie attitudini, fiducia in se stessi, spirito di iniziativa, abilità in termini di creatività, di alfabetizzazione economica e di gestione delle risorse e di rischi/incertezze sono il cuore del percorso indicato dall’Europa e recepito dal MIUR. Nel contesto dello studio comunitario (v. la Nuova Agenda delle Competenze, proposta dalla Commissione Europea il 10 giugno 2016), l’imprenditorialità è intesa come “una competenza trasversale chiave in tutte le sfere della vita. Imprenditorialità significa agire sulle opportunità e sulle idee per trasformarle in valore per gli altri. Il valore che si crea può essere finanziario, culturale, o sociale”.
Dopo l’introduzione dell’Alternanza Scuola-Lavoro (che sicuramente andrà perfezionata negli anni in molti suoi aspetti, ma che segna una tappa fondamentale nello sviluppo della scuola italiana e nel suo avvicinamento alle grandi realtà europee), ecco, allora, un altro bel passo: un percorso di educazione all’imprenditorialità, che prevede, tra l’altro, di iniziare ad operare nelle classi fin dal primo biennio intervenendo sul potenziamento delle attitudini degli allievi e su alcune abilità, quali – come detto -la creatività, la consapevolezza di sé, la motivazione.
Nella speranza che tale percorso non si arresti, mi auguro che in futuro avremo donne e uomini che riusciranno a far avverare i propri sogni, perché da studenti – oggi – stanno capendo come una passione o un interesse possa diventare professionalità e eventualmente lavoro.
Concludo il post con il punto che maggiormente mi ha colpito all’interno del documento contenente le indicazioni per l’attivazione di percorsi di competenza imprenditoriale, quello inerente lo sviluppo personale, che si estrinseca nell’intraprendenza e nella consapevolezza; esso mira a far sì che l’alunno possa “comprendere l’importanza dello spirito di iniziativa e dell’assunzione di responsabilità come competenze per lo sviluppo personale e per la vita, e non solo per la carriera imprenditoriale; interpretare le opportunità e le sfide incontrate durante il proprio percorso come mezzo per aumentare la possibilità di trovare una gratificazione in qualunque tipo di percorso; avere consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza”. Dimenticavo, buon anno scolastico a tutte/i!
Bravo Maestro! Puoi approfondire anche di più il senso etico del “competere” se guardi prima separatamente la caterva di significati che possono assumere la parole “CUM” e “PETO” e provi poi ametterli insieme per ottenere tutto ciò che si può comprendere di “competere”!