E’ passata una settimana dall’assegnazione del Premio Nobel per l’Economia alla Professoressa Claudia Goldin, una notizia che, forse anche a causa dei tanti tristi eventi che affliggono il mondo negli ultimi giorni, ha avuto probabilmente troppo poco risalto. Uno dei meriti della docente di Harvard è stato certamente quello di “aver fatto progredire la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile”, mettendo così al centro dell’attenzione una tematica sociale, politica ed economica fondamentale: le differenze di stipendio e di possibilità di occupazione tra uomo e donna (e ultimamente tra donna e donna).
A scuola dedico diverse ore alla trattazione dell’Articolo 3 della Costituzione, cercando di spiegare cosa, in maniera illuminata, avevano inserito i Padri Costituenti settantacinque anni fa, all’interno del testo costituzionale.
Parlo per ore di uguaglianza formale, di uguaglianza sostanziale, di ostacoli che la legge è chiamata a rimuovere, delle conquiste, delle leggi sulla maternità….ma alla fine le alunne stesse spesso chiedono: “Ma allora perché ci sono ancora tante difficoltà per le donne nel mondo del lavoro?”
Nelle motivazioni del Premio si legge che Goldin “ha scoperto i fattori chiave delle differenze di genere nel mercato del lavoro” e tutto questo lo ha fatto raccogliendo dati e materiale di oltre 200 anni di storia, riuscendo forse a dare anche un minimo di risposta al quesito delle mie alunne.
La professoressa americana ha notato come la partecipazione delle donne al mercato del lavoro abbia avuto un “andamento ad U”, evidenziando come nel passaggio da una società agricola a una industriale all’inizio del XIX secolo, la partecipazione al lavoro è scesa, per poi iniziare ad aumentare con l’esplosione del settore dei servizi all’inizio del XX secolo.
Goldin ha spiegato questo andamento come il risultato di un cambiamento strutturale e dell’evoluzione delle norme sociali relative alle responsabilità delle donne nei confronti della casa e della famiglia. Negli studi sociali – lo ricordiamo – la causa della diminuzione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro viene ricondotta alla diffusione del modello che assegna un ruolo predominante al reddito maschile nella famiglia e il divario retributivo di genere è da sempre il risultato di un insieme di disuguaglianze legate al genere, quali la segregazione verticale e orizzontale, le tradizioni e gli stereotipi, il background familiare.
Sicuramente il Nobel ad un’economista che ha basato i propri studi più sugli aspetti sociali che su quelli econometrici ha potuto far storcere il naso a qualcuno, ma qui non stiamo certo a dissertare sulla effettiva bontà o utilità di un premio, o di scelte più o meno condivise (ricordo personalmente di aver auspicato per anni un Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, finché, un giorno, ho visto accadere tutto ciò, per la mia gioia e per la delusione di molti altri); qui si parla di una cosa molto più importante e di cui – non smetterò mai di sottolinearlo – si dovrebbe un giorno arrivare a non parlare affatto: la parità di genere non dovrebbe trovare più spazio all’interno di Costituzioni, Leggi, studi accademici…è semplicemente una cosa naturale.
Nonostante l’evoluzione della società e l’aumento della percentuale di donne occupate nel XX secolo, per lungo tempo il divario retributivo tra donne e uomini non è riuscito ad essere colmato. Secondo Goldin, parte della spiegazione sta nel fatto che le decisioni in materia di istruzione, che influiscono sulle opportunità di carriera di tutta la vita, vengono prese in età relativamente giovane. Se le aspettative delle giovani donne si basano sulle esperienze delle generazioni precedenti – ad esempio delle loro madri, che non sono tornate al lavoro finché i figli non sono cresciuti – lo sviluppo sarà lento.
Quindi, mentre storicamente la differenza di guadagno tra uomini e donne poteva essere attribuita alle scelte educative fatte in giovane età e alle scelte di carriera, la professoressa Goldin ha scoperto che l’attuale divario di guadagno (ancora più evidente tra donne e donne nella stessa occupazione!) è ora in gran parte dovuto all’impatto dell’avere figli.
E tutto ciò non è più concepibile nel XXI secolo. Non è più concepibile soprattutto nel mondo occidentale, cioè in quella parte del mondo che ritiene di aver fatto passi da gigante a livello di civilizzazione e sviluppo democratico compiuto. Un mondo occidentale che, sotto sotto, ha forse troppo spesso interesse a non dare troppo risalto a tali tematiche…e quindi anche alla notizia di un importante (forse storico!) premio dato ad una grande studiosa, ad una grande donna.
E’ passata una settimana dall’assegnazione del Premio Nobel per l’Economia alla Professoressa Claudia Goldin, una notizia che, forse anche a causa dei tanti tristi eventi che affliggono il mondo negli ultimi giorni, ha avuto probabilmente troppo poco risalto. Uno dei meriti della docente di Harvard è stato certamente quello di “aver fatto progredire la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile”, mettendo così al centro dell’attenzione una tematica sociale, politica ed economica fondamentale: le differenze di stipendio e di possibilità di occupazione tra uomo e donna (e ultimamente tra donna e donna).
A scuola dedico diverse ore alla trattazione dell’Articolo 3 della Costituzione, cercando di spiegare cosa, in maniera illuminata, avevano inserito i Padri Costituenti settantacinque anni fa, all’interno del testo costituzionale.
Parlo per ore di uguaglianza formale, di uguaglianza sostanziale, di ostacoli che la legge è chiamata a rimuovere, delle conquiste, delle leggi sulla maternità….ma alla fine le alunne stesse spesso chiedono: “Ma allora perché ci sono ancora tante difficoltà per le donne nel mondo del lavoro?”
Nelle motivazioni del Premio si legge che Goldin “ha scoperto i fattori chiave delle differenze di genere nel mercato del lavoro” e tutto questo lo ha fatto raccogliendo dati e materiale di oltre 200 anni di storia, riuscendo forse a dare anche un minimo di risposta al quesito delle mie alunne.
La professoressa americana ha notato come la partecipazione delle donne al mercato del lavoro abbia avuto un “andamento ad U”, evidenziando come nel passaggio da una società agricola a una industriale all’inizio del XIX secolo, la partecipazione al lavoro è scesa, per poi iniziare ad aumentare con l’esplosione del settore dei servizi all’inizio del XX secolo.
Goldin ha spiegato questo andamento come il risultato di un cambiamento strutturale e dell’evoluzione delle norme sociali relative alle responsabilità delle donne nei confronti della casa e della famiglia. Negli studi sociali – lo ricordiamo – la causa della diminuzione della partecipazione delle donne al mercato del lavoro viene ricondotta alla diffusione del modello che assegna un ruolo predominante al reddito maschile nella famiglia e il divario retributivo di genere è da sempre il risultato di un insieme di disuguaglianze legate al genere, quali la segregazione verticale e orizzontale, le tradizioni e gli stereotipi, il background familiare.
Sicuramente il Nobel ad un’economista che ha basato i propri studi più sugli aspetti sociali che su quelli econometrici ha potuto far storcere il naso a qualcuno, ma qui non stiamo certo a dissertare sulla effettiva bontà o utilità di un premio, o di scelte più o meno condivise (ricordo personalmente di aver auspicato per anni un Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan, finché, un giorno, ho visto accadere tutto ciò, per la mia gioia e per la delusione di molti altri); qui si parla di una cosa molto più importante e di cui – non smetterò mai di sottolinearlo – si dovrebbe un giorno arrivare a non parlare affatto: la parità di genere non dovrebbe trovare più spazio all’interno di Costituzioni, Leggi, studi accademici…è semplicemente una cosa naturale.
Nonostante l’evoluzione della società e l’aumento della percentuale di donne occupate nel XX secolo, per lungo tempo il divario retributivo tra donne e uomini non è riuscito ad essere colmato. Secondo Goldin, parte della spiegazione sta nel fatto che le decisioni in materia di istruzione, che influiscono sulle opportunità di carriera di tutta la vita, vengono prese in età relativamente giovane. Se le aspettative delle giovani donne si basano sulle esperienze delle generazioni precedenti – ad esempio delle loro madri, che non sono tornate al lavoro finché i figli non sono cresciuti – lo sviluppo sarà lento.
Quindi, mentre storicamente la differenza di guadagno tra uomini e donne poteva essere attribuita alle scelte educative fatte in giovane età e alle scelte di carriera, la professoressa Goldin ha scoperto che l’attuale divario di guadagno (ancora più evidente tra donne e donne nella stessa occupazione!) è ora in gran parte dovuto all’impatto dell’avere figli.
E tutto ciò non è più concepibile nel XXI secolo. Non è più concepibile soprattutto nel mondo occidentale, cioè in quella parte del mondo che ritiene di aver fatto passi da gigante a livello di civilizzazione e sviluppo democratico compiuto. Un mondo occidentale che, sotto sotto, ha forse troppo spesso interesse a non dare troppo risalto a tali tematiche…e quindi anche alla notizia di un importante (forse storico!) premio dato ad una grande studiosa, ad una grande donna.