Il prossimo 2 Giugno, come tutti gli anni, si starà a casa, si organizzerà qualche gita fuori porta, si andrà al mare. Troppo spesso iniziamo ad usufruire dei giorni “rossi” del calendario senza neanche più chiederci il motivo. Quest’anno però sarà un po’ diverso: il 2 Giugno la Repubblica Italiana compirà 70 anni; in quel giorno di tarda primavera del 1946 il popolo italiano forse per la prima volta divenne attore principale della scena nazionale e, soprattutto, le donne poterono finalmente avere accesso alle urne, partecipando alla scelta tra Monarchia e Repubblica ed eleggendo 556 persone delegate a costruire l’architrave della nuova Italia: la Costituzione. Con un estenuante lavoro di circa un anno e mezzo i “padri Costituenti” riuscirono a disegnare le linee guida fondamentali di una società fatta di persone libere ed uguali, in grado di vivere rispettando determinate norme, ispirate ai principi di uguaglianza, solidarietà, giustizia, democrazia e laicità. Spesso sottolineiamo la bellezza della nostra carta costituzionale, evidenziandone il carattere di “perfetto compromesso” fra diverse ideologie (cattolica, liberale e social-comunista) ma forse ciò è anche riduttivo; uno dei padri costituenti, Giuseppe Dossetti (che, lo ricordo ancora, morì nel 1996 mentre preparavo proprio l’esame di Istituzioni di Diritto Pubblico), disse che la Costituzione Italiana “…più che dal confronto-scontro di tre ideologie datate, porta l’impronta di uno spirito universale e in certo modo transtemporale”.
La nostra carta costituzionale si mostrò subito ricca di prospettive e di una volontà innovatrice che, per esempio, ritroviamo in maniera evidente nell’impegno a non limitare l’uguaglianza al solo piano normativo, puntando a realizzarla anche fattivamente sul terreno economico e sociale. In sostanza la Costituzione fu un tentativo politico-giuridico, riuscitissimo, di inserire nuovamente l’Italia in un contesto sociale e culturale moderno, conciliando tradizioni e culture diverse.
La Costituzione è composta da 139 articoli, veri e propri capisaldi della struttura del nostro Stato ed elencarli o commentarli tutti in questa sede sarebbe inutile e dispendioso, ma credo sia opportuno soffermarsi brevemente sull’articolo numero 3, ossia quello che più di tutti rappresenta il perno del dettato costituzionale e che afferma: <<Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>.
Fin dai tempi dell’Università sono rimasto colpito dalla portata e dalla densità delle suddette parole; si intravede in maniera chiara una prospettiva programmatica che dà a tutto il resto della Costituzione evidenti connotati etici e sociali. Affermare che non vi è distinzione tra i cittadini per sesso, colore della pelle, reddito o opinione sembra qualcosa ovvio per i nostri standard attuali di democrazia, ma non lo è se consideriamo tutta la serie di lotte culturali, sociali e politiche che dall’Illuminismo in poi hanno contraddistinto in maniera indelebile la storia dell’Europa; addirittura nella seconda parte dell’articolo la dichiarazione diventa ancor più programmatica e importante, quando si rileva che il pieno sviluppo della personalità umana è nei fatti limitato da una miriade di ostacoli di tipo economico-sociale, ecco quindi che lo Stato “entra in gioco” impegnandosi affinché tali ostacoli possano essere rimossi o quanto meno limitati.
Purtroppo ancora oggi ci troviamo a combattere piaghe sociali, iniquità e soprusi, si chiamino povertà, disoccupazione o intolleranza, ma dimentichiamo quanto la nostra Repubblica, sebbene sempre criticabile e pungolabile, abbia fatto in questi settant’anni e continui ancora a fare per limitare al massimo tali storture. Non ce ne accorgiamo più perché siamo sempre pronti solo a criticare, ma forse non sarebbe male ricordare quanto il nostro Stato abbia fatto, nel solco tracciato dal dettato costituzionale, sul piano socio-economico: l’assistenza sanitaria, il diritto allo studio, gli ammortizzatori sociali, gli interventi nell’economia sono solo alcuni piccoli esempi dell’attivismo sociale della nostra Repubblica.
Dal 1948, dunque, la nostra Italia gode di “sana e robusta Costituzione”, anche se i tempi cambiano, la Società evolve, i contesti socio-politici ed economici variano e quindi anche la Carta costituzionale potrebbe avere bisogno di qualche piccolo ritocco. La Costituzione stessa prevede, da sempre, la possibilità di essere modificata, con una procedura, però, molto più complessa e articolata rispetto a quanto si fa per le leggi ordinarie dello Stato. Fino ad oggi diverse volte si è riusciti ad apportare modifiche alla Carta, in altri casi i tentativi sono falliti (ricordiamo l’esperimento della Bicamerale guidata da D’Alema a metà anni Novanta o la Riforma del Governo Berlusconi, bocciata poi dal Popolo nel referendum del 2006). Proprio mentre scrivo è in fase di approvazione, dopo un lunghissimo iter, un progetto di riforma della Costituzione che, se confermato dal probabile referendum (forse in Autunno), modificherà radicalmente la Seconda parte della Costituzione. Già iniziano a delinearsi due fronti opposti, uno a favore, l’altro contrario; la Riforma ha, come accade in genere per ogni decisione, i suoi pro e suoi contro: rivedere alla radice il significato di “bicameralismo perfetto”, modificare il procedimento di approvazione delle leggi, ridefinire le competenze delle Regioni e cancellare Istituti un po’ obsoleti, sembrano per alcuni essere i giusti passi verso un’opera di ammodernamento e di snellimento della macchina dello Stato. Altri, tra cui alcuni giuristi e costituzionalisti, oltre ad un nutrito fronte di partiti, puntano il dito contro la Riforma perché questa sembrerebbe attribuire un eccessivo potere al Governo, soprattutto se si considera la Riforma Costituzionale abbinata ad una probabile legge elettorale troppo “spinta” verso un eccesso di “voglia di governabilità a tutti i costi”. Addirittura una parte è contraria perché ritiene troppo blande le modifiche apportate (si pensi a chi era propenso ad un ulteriore ridimensionamento dei Parlamentari e dei poteri del Senato).
Credo sia opportuno, questa volta più che mai, leggere, documentarsi, ascoltare, approfondire i punti della Riforma per poi porre sul piatto della bilancia ogni singolo elemento. Purtroppo non si potrà esprimere un giudizio solo su una parte, salvando ciò che piace e bocciando il resto; la riforma andrà confermata o bocciata “in toto”, nella sua interezza, ricordando che essa è stata comunque fatta utilizzando strumenti democratici, da persone da noi chiamate a rappresentarci e, soprattutto, nel pieno rispetto della Costituzione stessa. E’ vero che, come si sente spesso dire, le Regole andrebbero scritte da tutte le parti politiche, insieme, proprio come avvenne tra il ’46 e il ’48, ma credo sia molto difficile trovare oggi e in futuro una classe politica, da destra a sinistra, dotata della stessa sensibilità e dello stesso senso dello Stato posseduto dai nostri Padri Costituenti; non di rado durante i lavori una parte decide di rovesciare il tavolo (così è avvenuto nei vari tentativi degli ultimi vent’anni); ecco allora che troppo spesso una sola parte politica decide di intraprendere la strada della riforma, portandola a compimento in autonomia, come avvenuto nella fase finale dell’ultima riforma. Sarà vera gloria? Al popolo l’ardua sentenza.