E’ un pomeriggio di Aprile quando per la prima volta nella nostra penisola arrivano via etere robot, navicelle, mostri e svariate figure dalle sembianze di umanoidi.
E’ il 1978 e il mondo è ancora diviso: Gorbaciov e Reagan non sono ancora diventati i Presidenti delle due maggiori superpotenze mondiali e il Muro di Berlino sarebbe caduto solo dopo più di 10 anni; in Italia imperversano stragi e terrorismo e dopo il boom degli Anni Sessanta si sta cercando di uscire da un ciclo economico-sociale abbastanza buio. A livello di divertimento siamo agli albori della Disco Music e i giovani, dopo aver divorato anni ed anni di rock di alto livello, a volte anche un po’ troppo complesso, iniziano ad aver voglia di svagarsi e magari di contorcersi sulle note di ”I will Survive”.
Per i più piccoli, invece, uno dei rifugi più piacevoli è rappresentato dalla televisione: non si sono ancora diffuse le reti private e il mito di Carosello è ormai tramontato, pertanto i ragazzi sfruttano gli unici due canali presenti sulla TV per appassionarsi alle prime grandi serie televisive, quali Sandokan, Furia o Happy Days o per vedere i cartoni di Gatto Silvestro o di Bugs Bunny, i Barbapapà, le serie animate di Hanna&Barbera e i mitici “fumetti in TV” contenuti nello storico programma SuperGulp.
Ecco, però, irrompere, direttamente dal Giappone, un nuovo prototipo di Cartone Animato, incentrato sulla lotta tra il bene e il male, i cui protagonisti sono robot, dischi spaziali e terribili mostri. L’Italia si fa trovare quasi impreparata, nell’arco di pochi giorni scoppia un fenomeno sociale: bambini, adolescenti e qualche ragazzo un po’ cresciuto gridano a scuola, per strada, sugli autobus parole quasi incomprensibili come “Lame Rotanti!”, “Alabarda Spaziale!”, “Goldrake, fuori!”.
Sento di non esagerare nel dire che dal 4 Aprile di quel 1978 nulla è stato più lo stesso per la tv italiana, e non solo per essa. Fin dalla prima puntata della serie “Atlas Ufo Robot” si innesca un meccanismo incontrollabile che coinvolge tutti i settori della società e che oggi, in piena era social network, non esiteremmo a definire “virale”.
Scoppiano accese discussioni nelle famiglie circa i messaggi diseducativi di quei nuovi cartoni, molti genitori iniziano a vietarne la visione ai figli, perfino in Parlamento si assiste a sedute dedicate al nuovo fenomeno sociale, con interventi di Deputati volti a chiedere maggiori censure se non addirittura la sospensione della programmazione.
Ma il fenomeno di Goldrake ha ormai pervaso la penisola: i bambini hanno voglia di Actarus, di Venusia e del Doctor Procton, anche all’infuori della mezzoretta del Cartone in onda in TV; ecco allora le maggiori aziende che iniziano ad ingegnarsi in celeri operazioni di marketing, producendo giocattoli, sfornando gadget e figurine, stampando libretti, creando riduzioni in Super8 per le proiezioni domestiche e molto altro ancora; si crea un indotto dalle dimensioni esorbitanti.
Iniziano inoltre ad essere vendute infinità di copie di 45 giri delle Sigle, capitolo questo su cui vale la pena spendere anche qualche riga in più. Bisogna sapere che la RAI in quei tempi può contare su collaboratori musicali di valore inestimabile a cui tocca il compito di cimentarsi nel riadattamento italiano delle sigle originali giapponesi: Ares Tavolazzi, virtuoso bassista degli Area, tra un concerto nei Festival Anarchici e una rielaborazione Prog-Rock dell’Internazionale, riesce a trovare qualche ora per abbassare il pugno e stringere in mano una penna per buttare giù nuove partiture per il Cartone Animato del momento, e insieme a lui il Maestro Vince Tempera e tanti altri validi musicisti. Due anni di programmazione, oltre settanta puntate, diverse repliche e milioni di persone incollate allo schermo per un cartone che ha fatto breccia nella TV, aprendo la strada all’invasione dei Manga Giapponesi in Italia nei successivi 30 anni.
Prima di Goldrake il nulla, subito dopo Mazinga, Jeeg, Capitan Harlock e, anno dopo anno, il numero di personaggi aumenta in maniera esponenziale fino ad arrivare ai cartoni giapponesi dei nostri giorni, sul cui tema non sono ferratissimo, anche perché mio figlio di 4 anni non mi chiede di vedere “Ben10”, la sua frase più gettonata è “Papà, mi fai vedere Golcheick?!”. Certo, la pronuncia non sarà il massimo, ma forse è questione di DNA, a quell’età anch’io iniziavo a vedere qualche puntata insieme ai miei fratelli e mi dicono andassi in giro per casa ripetendo in malo modo i seguenti versi: “si traffomma di razzo missile, con cirfuiti di mille vavvole”.