A causa delle precarie condizioni di vita, spesso al limite della sopravvivenza, in più parti del nostro continente, compresa l’Italia, va affermandosi con forza crescente un violento scetticismo verso l’Unione Europea, verso la moneta unica e verso le relative istituzioni economico-politiche. Alle innumerevoli spinte nazionalistiche, rinfocolate dalla crisi persistente, si vanno aggiungendo movimenti populistici, pronti a giocare sui drammi delle persone pur di accrescere di qualche punto percentuale il proprio peso politico. Quello che mi ha maggiormente colpito, preoccupandomi, è il fatto che tutto quello che fino a poco tempo fa veniva ascoltato e detto nelle classiche situazioni da bar, sugli autobus o nei giardini pubblici, inizia a riecheggiare sempre più durante riunioni di lavoro, incontri fra professionisti o in pseudo convegni politici, se non addirittura in ambienti accademici.
Non si può certo negare che la crisi che da anni ci sta attanagliando sia una delle più gravi e durature del dopoguerra, ma le sue cause non sono da ricercare unicamente nel malfunzionamento della moneta unica o nella rigidità dei vincoli imposti dal Trattato di Maastricht.
La Globalizzazione, le bolle finanziarie, la rapida crescita di economie una volta definite “terzo mondo”, le sperequazioni sociali, il crollo della cortina di ferro , avvenuto solo 25 anni fa, l’annosa questione mediorientale e le relative implicazioni economico-energetiche, sono alcuni dei fattori che hanno contribuito a creare la situazione attuale. Spesso, però, è la gente, il popolo a rendersi complice dei propri mali. La disaffezione dei cittadini alle questioni politiche (nel senso più nobile del termine) è secondo me una causa e non un effetto del peggioramento della situazione. E’ pur vero che spesso la classe politica fa vergognare i propri elettori a furia di scandali, abusi, deliri di onnipotenza, ma non per questo ci si può rifugiare nell’astensionismo , nel “tanto sono tutti uguali” o nell’abbracciare i populismi del momento. Chi di noi non ha sentito una volta dire “Quando c’era la lira funzionava tutto”, “E’ tutta colpa dell’Euro”, “Dobbiamo uscire dall’Europa”, e così via con altri luoghi comuni.
Nulla di tutto questo contribuisce a risolvere la situazione. Un’Europa Unita, finché ci si è creduto, fino a quando ci si è battuti per ottenerla, era una delle ragioni d’esistere delle grandi democrazie continentali, in primis l’Italia, che, venuta fuori da un’esperienza di guerra a dir poco catastrofica, è riuscita a ricostruire, da De Gasperi in poi, una propria credibilità nel continente, mostrandosi sempre tra le nazioni più attive nel raggiungimento di questo grande sogno. E’ vero, molte cose, poi non sono andate per il verso giusto o comunque sarebbero potute andare meglio, ma ricordiamoci che il processo di unificazione dovrebbe essere sì migliorato, aggiornato, revisionato, ma mai abbandonato. Chi parla di referendum e di altre simili aberrazioni credo lo faccia totalmente a sproposito, o forse per pura convenienza. Certo, ad un’unità economica non è seguita quella politica, e questo è un male; sul fronte della moneta, poi, l’errore più grande è stato forse quello di concentrare tutti gli sforzi per arrivare alla creazione dell’Euro, per poi cullarsi sugli allori e non prevedere i giusti meccanismi di governo della moneta unica. Inoltre le varie istituzioni comunitarie funzionano in maniera macchinosa .
Alla base dell’attuale situazione c’è sì la recente crisi scoppiata nel mondo finanziario, fatto di titoli inquinati, spregiudicate speculazioni e mancanza di controllo da parte delle autorità, ma le radici affondano a più di 30 anni fa, allo scoppio di una cultura neo-liberista che, forte della persistenza del blocco sovietico e della concomitanza di anni ed anni di governi conservatori e repubblicani in Inghilterra e negli USA, ha fatto breccia nel nostro continente, cancellando, anno dopo anno, l’identità vera dell’Europa, promotrice di pace, equità e giustizia sociale e che nel dopoguerra aveva dato spazio a investimenti di tipo keynesiano da un lato e a forti sentimenti di solidarietà dall’altro, entrambi scomparsi per far spazio alla “mano invisibile” del mercato.
Ricordo che la creazione dell’Euro stava arrivando a compimento mentre all’Università studiavo i vari tentativi che si erano susseguiti nel mondo e in Europa per arrivare a monete uniche, a mercati unici . Sembrava così impossibile che si fosse arrivati finalmente al traguardo, e quale soddisfazione per la nostra nazione essere tra i fondatori , lì in prima linea! Poi, però, qualcosa si è inceppato: il processo di unificazione monetaria ha portato un aumento delle speculazioni, le istituzioni si sono concentrate esclusivamente sul controllo delle parità, sul rispetto dei parametri e pian piano l’austerità ha preso il sopravvento, non venendo bilanciata da vere e proprie politiche espansive a livello comunitario. I margini di manovra dei vari Stati (vedasi il cambio, la spesa pubblica, etc.) erano ormai minimi, quasi nulli e, messe tutte le cose a sistema, si è arrivati quasi alla scomparsa del welfare e dello sviluppo. La spinta a recuperare produttività con un’eccessiva flessibilità del lavoro e le forti differenze sul piano del carico fiscale sulle imprese hanno contribuito a peggiorare le cose. Ma pensare che potesse essere meglio restare fuori dal progetto, o – peggio ancora – abbandonarlo, è una cosa assurda. E’ arrivato il momento di credere ancor di più nell’Europa, modificandone il funzionamento, aggiustando il tiro. Sarebbe opportuno agire sul fronte della ristrutturazione del debito per dare ossigeno alle economie locali, garantire nuovi investimenti per far fronte alle emergenze dell’occupazione e dell’istruzione. Il passo più importante sarebbe quello di aumentare il capitale della Banca Europea per garantire un sistema bancario in cui le banche nazionali possano tornare a prestare soldi a tassi ragionevoli. Come molti economisti sostengono, l’austerità, da sola, non paga, basti pensare alle esperienze fallimentari di qualche anno fa in diversi Paesi del continente, in primis in Irlanda. Bassa inflazione e stabilità devono iniziare ad essere riviste a favore di innovazione e crescita equa e alla deregulation, che ha portato il mondo delle banche e degli intermediari finanziari a speculare sulle teste delle persone, va messo un deciso freno, con una seria regolamentazione. Un federalismo dei bilanci sarebbe il gold standard, ma solo se affiancato ad un federalismo sociale. Certo, attuare quanto detto non è facile, ma è l’unica strada possibile per sperare in un futuro migliore, se invece si pensa di poter risolvere tutto cancellando gli sforzi di oltre cinquant’anni, demonizzando l’Europa, la sua Moneta e le sue Istituzioni, potremo ritenerci molto vicino al lastrico. Non sono in grado di dire se e quando le cose miglioreranno, ma so che ciò potrà accadere solo continuando a credere all’Europa Unita, al mercato unico, migliorandolo, perfezionandolo, armonizzandolo. Ma dall’interno.