Lo scorso sabato sono rientrato da un viaggio in Lituania in cui, insieme ad una collega dell’Istituto in cui insegno , l’IIS “U. Pomilio” di Chieti, ho accompagnato quattro studenti nell’ambito di un Progetto Erasmus che ha visto coinvolte anche altre quattro scuole provenienti da Bulgaria, Macedonia, Turchia e Lituania stessa. Il viaggio mi ha stimolato diverse riflessioni, prima fra tutte quella sull’importanza e il valore del Progetto Erasmus in sé, un’opportunità unica, nata circa trent’anni fa per favorire la mobilità studentesca all’interno dell’Unione Europea e che ogni anno vede coinvolti quasi 60.000 giovani italiani e più di 700.000 adolescenti in tutto il continente. Sorto soprattutto come strumento per gli studenti universitari, negli anni l’Erasmus ha allargato il proprio raggio d’azione a campi non soltanto scolastici e, nell’ambito della scuola, anche a livelli di istruzione non universitaria, diventando “Erasmus +”. Terminato questo breve, incompleto – ma doveroso – excursus sulla storia e sul significato Progetto, vorrei evidenziarne gli aspetti umani, i risvolti sociali o sociologici.
Poter guidare gli adolescenti alla scoperta di nuove culture, di nuove amicizie, di nuove lingue, di storie diverse, è motivo di orgoglio; effettuare un soggiorno all’estero (e nel corso degli anni ne ho fatti diversi, sia per piacere personale, sia per esigenze lavorative) rappresentando il proprio Stato, la propria scuola, è nello stesso tempo un onere e un onore, con il netto prevalere del secondo sul primo.
Quello che più mi ha stupito è vedere come le nuove generazioni riescano, quando vengono date loro le possibilità, a calarsi nei nuovi ruoli, a tirar fuori capacità di “problem solving” impensate, a superare piccoli o grandi scogli, a sentirsi essi stessi orgogliosi dell’opportunità concessa loro.
Non mi stancherò mai di ripetere che negli ultimi anni, forse per eccesso di “populismo”, forse per carenza di larghe vedute, o anche per un qualunquismo spesso debordante, chi più, chi meno, è sempre stato – e ancora lo è – pronto a denigrare il valore dell’Europa e dell’Unione Europea. Al valore delle conquiste susseguite grazie all’operato dell’UE ho dedicato più di un post, ma poterlo ribadire agli studenti che chiedono informazioni sui perché delle guerre, dei genocidi, delle deportazioni, ha un valore molto più alto, molto più nobile.
Quando stavo per iscrivermi al Liceo, l’Unione Sovietica aveva appena finito di giocare il suo ultimo mondiale di calcio (in Italia) con la scritta “CCCP” impressa sulle maglie, la Lituania politicamente non esisteva, era solo una piccola parte del grande impero sovietico, la Bulgaria gravitava sotto l’orbita russa, la Macedonia era una parte del grande Stato iugoslavo, guidato da Tito, e che in quel mondiale era forse una delle prime cinque-sei squadre più forti al mondo. La settimana scorsa, a trent’anni di distanza, mi ha fatto un certo effetto poter vedere una cinquantina di studenti, provenienti da quelle zone, ormai liberi di circolare in tutt’Europa, tutti insieme, sotto la grande bandiera blu stellata.
Dove non ha potuto la lingua, sono arrivati in soccorso gli smartphone, i vari “google translator”, “wordreference”, etc. I tanto bistrattati telefonini, social network e gruppi whatsapp, spesso usati malamente nei propri confini, si sono rivelati di estremo ausilio per tenersi in contatto all’interno di una città non propria, a migliaia di chilometri di distanza da casa. Tutti gli studenti sono stati infatti ospitati presso le case dei pari età del posto: abituarsi ai nuovi amici, ai nuovi ritmi, ai nuovi nuclei familiari, farlo in fretta, essere pronti a gestire ogni piccolo imprevisto e, nello stesso tempo, essere pronti per la presentazione ufficiale di un argomento di matematica – in inglese! – davanti a tutti… questo è forse il sunto e il vero significato della “scuola basata sulle competenze”.
“Comunicazione nelle lingue straniere”, “Competenze di base in scienza e tecnologia”, “Competenza digitale”, “Imparare ad imparare”, “Competenze sociali e civiche”, “Consapevolezza ed espressione culturale” non sono sembrate più fredde diciture ministeriali, ma le ho viste finalmente vivere pienamente, grazie ai nostri studenti, grazie all’Erasmus+. Cosa dire poi di fronte allo sgomento o allo stupore dei ragazzi all’interno delle ex carceri del KGB, o al cospetto dei vagoni-bestiame utilizzati per le deportazioni dei dissidenti verso la Siberia… lo stesso stupore che hanno mostrato nel sentire raccontare da noi docenti i principali eventi avvenuti nel XX secolo, dalle guerre mondiali all’olocausto, dai genocidi ai tentativi di rivolta soppressi sul nascere, dal nucleare alla guerra fredda, dalla nascita al crollo del muro di Berlino, dalle prime indipendenze baltiche alle feroci guerre dei primi anni Novanta al di là dell’Adriatico.
Molti si sono stupiti di fronte ai miei ricordi personali dei servizi televisivi sugli avvenimenti di Vilnius, sulle dirette da Sarajevo, sulla notte in cui assistetti in diretta all’edizione straordinaria dedicata al crollo del muro di Berlino o all’estate in cui la Russia si svegliò con un tentativo di colpo si Stato in corso.
Il confronto, poi, con le esperienze lavorative, di studio e di vita dei vari altri docenti, ognuno con una propria storia, ognuno con una propria visione della vita, ognuno con una propria “verità”, mi ha fatto capire l’importanza di parole quali “dialogo”, “ascolto”, “capacità di attenzione”, tutti aspetti messi troppo in fretta da parte in questa nostra vita frenetica quotidiana. Spesso il confronto è servito anche per dare maggiore valore alle tante conquiste che abbiamo avuto in Italia e che quotidianamente continuiamo ad avere, senza che ne venga apprezzata la portata. L’ultimo pensiero va alle ultime ore del soggiorno-studio, ossia alla cena/festa finale, quando gli alunni nostri e quelli di altre nazioni, anche grazie al potere “senza confini” della musica e della danza, hanno dato ognuno il proprio contributo, improvvisandosi DJ e selezionando dalla rete i brani con cui convivono quotidianamente. Vedere i nostri ballare e cercare di imparare i passi e i ritmi bulgari, macedoni, turchi o lituani, e, contemporaneamente, quelli degli altri Paesi divertirsi con i brani selezionati dai nostri è stato un bel momento, che è andato anche oltre il valore meramente musicale e folkloristico.
In conclusione mi sento di dover effettuare un piccolo ma sentito ringraziamento all’Istituto Pomilio di Chieti, alla Dirigente Scolastica e ai colleghi che mi hanno accompagnato in questa avventura.