“The Dark Side of the Moon”, “Born in the U.S.A.”, “Thriller”, “A Love Supreme”, “Abbey Road”, “The Joshua Tree” sono titoli di dischi che, ognuno nel proprio genere, hanno riempito le classifiche e gli scaffali di molti cultori e appassionati della musica. E sì perché, a partire dalla metà degli Anni Sessanta in poi, la musica si è diffusa, oltre che per radio, sottoforma di supporti acquistabili nei numerosi negozi sparsi in tutto il mondo; milioni di persone hanno riempito le strade delle maggiori metropoli mondiali o dei più piccoli centri di provincia, mostrando con orgoglio la propria busta contenente prima i 33 giri, poi le musicassette, quindi i compact disc…
Con ansia si attendeva l’uscita del nuovo album dell’artista del momento o del gruppo preferito e non si vedeva l’ora di poggiare la puntina del giradischi sul long playing o di inserire il nastro nell’autoradio o di ascoltare la perfezione della musica su cd sul proprio lettore portatile o di casa, ognuno coi propri mezzi, coi propri gusti e per le proprie capacità di spesa. L’album poteva essere paragonato ad un libro, non un insieme di canzoni, ma un’opera da ascoltare dall’inizio alla fine, non in maniera frammentata, dalla prima all’ultima canzone, senza saltarne alcuna, così come accade per i capitoli di un libro.
A volte addirittura si poteva assistere all’uscita sul mercato di veri e propri concept album, fatti di poche lunghe tracce unite tra di loro da un filo logico ed emotivo ancor più forte del solito.
Ad un certo punto qualcosa è cambiato: con l’avvento del ventunesimo secolo e col diffondersi di internet e in generale degli strumenti informatici di massa, si è iniziata a diffondere la cosiddetta “musica compressa”, per molti conosciuta come mp3 (anche se in realtà i formati disponibili sono diversi, ma non è di questo che voglio parlare in tale sede).
A quel punto si sono verificati tre fenomeni:
– la diffusione della conoscenza della musica;
– l’impoverimento della qualità del materiale audio;
– l’uccisione del concetto di disco.
Sul primo punto bisogna dire che gli aspetti positivi superano di gran lunga quelli negativi perché non si può non sottolineare come l’eccessivo prezzo praticato dalle case discografiche abbia sempre rappresentato un freno alla diffusione della conoscenza musicale. Quanti ragazzi nel periodo scolastico hanno rinunciato a qualche capo d’abbigliamento in più, o risparmiato su un panino pur di acquistare il disco appena uscito dell’artista preferito. La diffusione della musica subì un forte incremento “di massa”, garantendo l’accesso anche chi non poteva permettersi l’acquisto di un disco, verso la metà degli Anni Ottanta con il diffondersi delle duplicazioni delle cassette e, il decennio successivo, con le masterizzazioni di cd, garantendo a costi irrisori una qualità pressoché identica all’originale. Con l’avvento della musica compressa tutti hanno iniziato ad avere la possibilità di racchiudere in uno spazio a volte di pochi centimetri cubi intere discografie, col vantaggio di poter portare fino a centinaia di migliaia di canzoni in una tasca, sempre dietro, in qualsiasi posto del mondo, usufruendone in qualsiasi istante.
Sul secondo punto, va sottolineato come sia triste vedere oggi la gente ascoltare musica quasi esclusivamente sottoforma di mp3, con qualità quindi di gran lunga inferiore a quella di un compact disc o di un 33 giri, non godendo di tutte le frequenze, soprattutto quelle basse ed alte. Spesso addirittura si preferisce tenere i propri cd in cantina, ascoltando quella stessa musica esclusivamente nel proprio lettorino, o telefonino. Quanti amici sono in possesso di impianti di alta fedeltà acquistati anni addietro spendendo fortune ed oggi utilizzati al 50% delle potenzialità, perché sfruttati per ascoltare mp3 a volte contenuti in miseri riproduttori. Quello che doveva essere un aiuto datoci dalla tecnologia per avere la musica sempre dietro e con un ingombro nullo è tornato dietro come un boomerang andando ad incidere sulla qualità di ascolto.
Per finire il terzo aspetto, ossia il tasto dolente della scomparsa dell’album, con cui ho iniziato questo post. Col proliferare degli mp3 è aumentata in maniera esponenziale la tendenza ad ascoltare esclusivamente megacompilation quotidiane fatte di tutto lo scibile musicale, spesso mixato in maniera casuale per ore ed ore o giorni e giorni di canzoni sempre diverse tra loro.
I compact disc stanno scomparendo del tutto dagli scaffali, i negozi di dischi sono quasi scomparsi, la musica si acquista quasi solo on-line, e fin qui il discorso del progresso tecnologico e dell’evoluzione dei tempi potrebbe anche reggere, se non fosse che le canzoni si acquistano quasi sempre singole e che la qualità, come già detto, non sarà mai più quella del compact disc e neanche quella del 33 giri. I ragazzi di oggi difficilmente acquistano un disco intero e gli artisti stessi hanno iniziato ad incidere sempre meno dischi, puntando spesso a singoli brani, in singole uscite.
Il processo temo sia ormai irreversibile, ma vi confesso che quando inserisco un cd nel lettore della macchina o a casa o quando addirittura mi alzo dal divano per andare ancora a girare il 33 giri sul piatto per ascoltare il lato B provo fortunatamente ancora qualche emozione, le stesse che sento nell’andare a leggere i testi, i credits, le didascalie, i componenti della band, o la strumentazione utilizzata nel libretto contenuto nel compact disc.
Concludo sottolineando di non avere nulla contro gli mp3 in sé per sé, ma mi piacerebbe che degli stessi si facesse un uso intelligente, sfruttandone le potenzialità e spesso la gratuità ed ampia diffusione per arricchire le proprie conoscenze musicali in maniera proattiva, non rimanendo freddi fruitori passivi di milioni di canzoni dei più disparati generi, senza criteri o legami logici di ascolto.
Anche io amo le compilation, ma non saranno mai la parte preponderante del mio modo di ascoltare la musica.