“L’Unione Europea, l’unione dei popoli europei, dei cittadini dei nostri Paesi, è un progetto di grande valore che va coltivato quotidianamente, anche per rimuoverne le imperfezioni, le contraddizioni, per migliorarlo sulla base di una critica anche severa ma costruttiva […]”
Fra pochissimi giorni, il prossimo 25 Marzo, a Roma verrà festeggiato il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati che dettero vita all’embrione di quella che oggi conosciamo come Unione Europea, e nel virgolettato del nostro Presidente della Repubblica (tratto dal suo discorso tenuto a Gorizia lo scorso Ottobre) è racchiusa, forse, l’essenza della sua attuale esistenza. Già qualche tempo fa avevo parlato su questo sito (L’Europa: una casa da ristrutturare, non da evacuare ) dell’importanza di difendere la nostra “Casa Europa”, pur riconoscendo la necessità di ristrutturarla, adeguarla ed “aggiustarla”, tenendo conto delle diverse radici dei Paesi membri, delle diverse storie che tali nazioni hanno avuto nell’ambito del processo di unificazione, delle diverse esigenze economiche e di bilancio.
Sono passati tre anni da quel post del 2014 e il sentimento anti-europeista ha visto pericolose impennate, spesso alimentate da sentimenti di populismo e disfattismo contaminati da rigurgiti di iper-nazionalismo sfrenato.
Il prossimo anno cadrà il centesimo anniversario della fine della “Grande Guerra”, un conflitto che generò anni bui, caratterizzati da crisi economiche, dittature efferate e livelli elevatissimi di disgregazione sociale e politica, sfociati in poco più di un ventennio nel secondo conflitto mondiale.
Proprio sulle macerie del secondo dopoguerra, però, furono gettate basi ben diverse: il mondo si divise essenzialmente in due blocchi, ma tutti gli sforzi, in particolar modo nell’area occidentale del Vecchio Continente, iniziarono ad andare verso la ricerca della stabilità, della pace, della crescita economica e sociale.
Adenauer, Monnet, De Gasperi, Spinelli, Schuman sono tra le persone che forse ogni giorno dovremmo ricordare e ringraziare, avendo lottato e lavorato per garantire la pace, l’unità e la prosperità nel nostro Continente, quella stessa Europa oggi tanto bistrattata, troppo spesso a torto, rare volte a ragione. Non sono certo mancati, negli anni, i momenti di tensione, anche aspri (a volte vere e proprie guerre, si pensi ai conflitti locali nei luoghi dell’Ex Jugoslavia o in quelli nati dalla disgregazione dell’URSS), su diversi fronti e in diverse nazioni, ma da quel 25 Marzo del 1957 la storia dell’Europa – e quindi del mondo – non è stata più la stessa e una nuova visione ha iniziato a fare breccia tra i cittadini: il principale intento dei trattati di Roma era quello di promuovere la cooperazione economica, in modo tale da ridurre il rischio dei conflitti, a maggior ragione tra nazioni protagoniste di scambi commerciali. Diritti umani, libera circolazione di persone e merci, trasparenza, mobilità sono le grandi tematiche di cui l’Unione Europea si è occupata per più di mezzo secolo.
Probabilmente questo importante anniversario arriva in un momento molto delicato: la moneta unica viene spesso messa in discussione e screditata, soprattutto all’interno del nostro stesso Paese, ma a tal proposito giova ricordare come molti economisti, tra cui il Professor Piga, Docente a “Roma-TorVergata”, sottolineino come il problema in sé non è la valuta unica, ma la mancanza di politiche di forte solidarietà tra le zone ricche e quelle povere, ingrediente essenziale quando si adotta un’unica moneta in una zona vasta ed eterogenea (lo stesso Dollaro aveva causato instabilità e conflitti interni fino a quando non sono stati inseriti “meccanismi di trasferimenti automatici”). Su molte zone di confine dilaga, con scarsa collaborazione dei Paesi Membri, il fenomeno dell’immigrazione e dei rifugiati; in diverse nazioni si affacciano, come detto, spettri nazional-socialisti e, per finire, lo scorso giugno la Gran Bretagna ha deciso di abbandonare l’Unione Europea, con un Referendum che ha visto protagoniste le vecchie generazioni a scapito dei giovani e le zone rurali a scapito della volontà dei cittadini della capitale. Tanti paradossi sono racchiusi nella scelta referendaria inglese, primo fra tutti il fatto che chi aveva promosso il Referendum era tornato sui propri passi, ma troppo tardi: milioni di persone, spesso animate più da visioni incomplete e parziali sul ruolo dell’UE che da un’analisi approfondita sugli eventuali “costi/benefici” derivanti dall’uscita dall’UE stessa, hanno votato per la BREXIT, mettendo a repentaglio, checché ne dicano “saccenti” politici ed analisti dell’ultima ora, il futuro delle nuove generazioni.
Le spinte “anti europeiste” sembrano non cessare e tutto ciò non può che preoccuparci. Detto questo – non mi stancherò mai di ripeterlo – tanti meccanismi vanno aggiustati: dall’austerity sventolato come unico mantra da Berlino “urbi et orbi”, fino alle emergenze legate ai migranti (l’Europa intera deve iniziare a gestire in maniera più efficiente le emergenze legate ai rifugiati, non abbandonando le nazioni di “primo approdo” come la nostra).
Non ci si può, però, arrendere davanti a chi pensa di buttare 60 anni di storia e di conquiste, effettuando spesso misere “operazioni di sciacallaggio socio-politico-economico” sui problemi reali e quotidiani della gente. Nonostante le critiche, resta pur sempre un’Europa in cui da anni generazioni di giovani si muovono da un’Università all’altra per completare e arricchire i propri percorsi accademici e dove tanti altri milioni di giovani viaggiano, scoprono, trovano lavoro, e spesso iniziano una nuova vita, sentendosi a casa in qualsiasi punto del Continente. E’ un’Europa che stanzia finanziamenti per i più svariati settori (a volte non spesi per la miopia amministrativa delle singole nazioni) e da decenni si mostra sempre più attenta al mondo della scuola e alle politiche di coesione. Ricordo ancora con emozione, nel Febbraio 1992, una verifica scritta di storia al secondo Liceo, quando il professore inserì tra le domande un quesito sui Trattati di Maastricht, firmati soltanto il giorno prima. Fortunatamente a casa, soprattutto nell’ora di cena, si era soliti parlare, discutere e commentare i principali fatti del giorno; la verifica andò molto bene e fui uno dei pochi a rispondere al quesito e ancora oggi penso che quello fosse un tipico esempio di “sinergia” tra il mondo della scuola e quello della famiglia: ci sono eventi, offerti dell’attualità, di cui ciascun docente dovrebbe occuparsi, anche solo per cinque minuti, durante la lezione, a prescindere dalla materia e dal programma ministeriale. Un piccolo stimolo dell’insegnante spesso diventa una sorta di apripista nel sentiero della curiosità dei ragazzi e un potenziale momento di confronto e scambio di opinioni in famiglia.
Il prossimo 25 Marzo cerchiamo di evitare slogan e manifestazioni fuori luogo e approfittiamo della ricorrenza per spiegare, alla gente, agli amici, ai nostri figli e soprattutto nelle aule, l’importanza dell’Unione Europea, evidenziandone anche i difetti, ma ricordandone e difendendone sempre i nobili ideali che mossero i Padri Fondatori quel giorno di fine Marzo di sessant’anni fa, a Roma.