TANTO, FORSE TROPPO, TEMPO FA
Passava i pomeriggi dietro un pallone, col desiderio di poter indossare la maglia a strisce di Michel, ma da qualche giorno aveva messo un freno al divertimento; passate le feste patronali, l’obiettivo a medio termine diventava la vacanza dagli zii sulla riviera romagnola, ma prima occorreva superare un ostacolo un po’ più a breve termine. La Repubblica aveva spento da poco le sue 41 candele, ma a casa riecheggiavano solo le note dei “17 Re” di una quasi sconosciuta band toscana, che di lì a qualche giorno avrebbe suonato a Roccascalegna, pardon…a Rockascalegna, la Woodstock del Sangro. Durante i festeggiamenti per il compleanno del fratello maggiore il ragazzo si esercitò per bene: “Ok, la “pizza dolce” è divisa in 10 parti, io ne prendo una…mmh…quindi 1/10. No, aspe’…ora qualcuno ha preso due pezzi, faccio la somma? Ma di cosa? Ah, sì, sì, tutt’apposto. Tutto chiaro!”. Arriva il gran giorno, il primo di quel tipo. Eccole davanti a lui, le frazioni…all’interno di un problema appare un ostico 9/5!. “Che rabbia!”, pensò tra sé e sé, “non ho mai capito come avrei potuto chiedere a mia mamma di dividere quel dolce in 5 parti per prenderne 9!!!”. Di colpo la sua mano fu guidata – di nascosto – per 2 minuti dalla mamma di Fabio, e sì, perché lei non era la sua maestra, non gli aveva mai insegnato, lei esaminava quel giorno, lei è ancora oggi la Maestra per antonomasia a Borrello. Superato quel piccolo scoglio, tutto andò per il meglio. Ormai più niente poteva separarlo da Fiabilandia, dall’Italia in miniatura o dal Delfinario. L’indomani attraversò la città di Pescara di buon mattino, quando da poche ore erano rincasati tutti i cittadini in visibilio dopo una notte di festeggiamenti per la scalata verso la serie A. Alla Stazione – l’ultima volta in cui il ragazzo avrebbe preso un treno nella vecchia stazione, oggi area di risulta – si pronunciava una sola parola, un solo nome, sette lettere ovunque: Galeone.
Tornato in paese ricominciò a correre dietro a un pallone, ma bisognava trovare un nuovo idolo: Michel aveva appeso le scarpette al chiodo.
LA “LETTERA 32” IN SOCCORSO
Sono passati tre anni, il mondo è pieno di stravolgimenti politici: sono appena iniziati i Mondiali di Italia ’90 e per l’ultima volta partecipano, con diverse fortune, l’URSS e la Germania dell’Ovest; sono iniziate le “notti magiche”, il ritrovo presso le giostre è un misto di divertimento e preoccupazione: gli esami di terza media sono alle porte e gli altoparlanti dell’autoscontro sono gli unici in grado di far risuonare note che non siano quelle della coppia del momento “Nannini-Bennato”. Arriva il giorno dello scritto di Italiano e il ragazzo riesce a trasformare la favola del Camerun ai Mondiali in un discreto tema sui (pochi) valori nobili ancora presenti nel mondo del calcio. Ma ora giunge il momento degli orali e il lavoro più difficile consiste nel presentare una tesina; a casa c’è un Commodore 64, ma senza stampante e quindi si procede con pezzi di fotocopia di parte di libri, ritagliati e incollati con una sequenza logica. Tutto sembra filare liscio, mancano solo poche fotocopie….ma di colpo… l’unica fotocopiatrice presente in paese si blocca. Ecco entrare in scena la compagna di viaggio di migliaia di giornalisti, la “macchina per scrivere”, un oggetto ormai sulla via del tramonto, basti pensare che nei collegamenti con le Sale Stampa dei Mondiali non se ne vedono quasi più. Poche volte, e solo per divertimento, ha usato quella “Lettera 32” di famiglia, ma ora è arrivato il momento di fare pratica in un minuto per diventare esperto dopo due. Per forza di cose. Tutto finisce, ancora una volta, nel migliore dei modi, in lontananza riparte il camion dell’autoscontro; si chiude un’era: è l’ultimo giorno passato in un’aula di scuola nel paese dove quattordici prima era nato.
POLLICE VERSO
Da pochi giorni la propria squadra del cuore è tornata a vincere uno scudetto, il primo dai tempi di Michel, di lì a pochi giorni verranno introdotti i nomi sulle maglie e scomparirà una volta per tutte la numerazione da 1 a 11 su cui intere generazioni hanno mandato a memoria idoli, ruoli, formazioni, cantilene. C’è poco tempo per festeggiare, l’Esame con la “E” maiuscola sta per arrivare, da poco in Italia è iniziata la cosiddetta seconda Repubblica, ma sembra essere già al capolinea; per ironia della sorte, di lì a pochi giorni il ragazzo, ormai maggiorenne e patentato, tornerà in vacanza in Emilia Romagna, quasi a chiudere un cerchio ideale, ma prima occorre superare, una ad una, quelle notti insonni, senza però “lacrime e preghiere”. Ci siamo, è arrivato il giorno degli orali, non più a casa, non più a Borrello, ma fuori provincia, nella afosa Castel di Sangro: dopo aver snocciolato opere, vita e stile di Keats e Shelley, arriva il temuto scoglio e, come per gli antichi Romani, c’è un “pollice verso” che si nasconde dietro l’angolo.
Non è ancora l’epoca degli emoticon, pertanto quel pugno chiuso col pollice all’infuori, dopo averlo visto in 30-40 repliche di Ben-Hur, assume un altro, unico, significato: è il metodo con cui rappresentare un fenomeno elettromagnetico. Il Presidente di Commissione, anch’egli Docente di Fisica, tende diversi trabocchetti fino a cercare di indurre lo studente all’errore sulla “Regola della mano destra”, ad arte “ribaltata” dal punto di vista visivo per metterlo in difficoltà. Il ragazzo, ormai alle corde, invita la stessa commissione ad abbassarsi sotto la scrivania per osservare il verso della forza risultante. Tra lo stupore dei presenti, finisce così il colloquio e quella sorta di risposta provocatoria spalanca le porte ad un esito felice, ma segna un nuovo modo di affrontare le cose per un ex teenager, forse futuro uomo.
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Ieri sera, forse dopo aver sentito al telefono mia nipote, pronta per iniziare oggi gli Esami di terza media, o forse ispirato dalla visita serale, fatta insieme a mio figlio, all’autoscontro del paese, in cui ho notato un discreto fermento, che non vedevo da anni, ho pensato di scrivere questo post, augurando il meglio alle centinaia di migliaia di studenti che da oggi hanno iniziato a sostenere gli Esami. Senza scomodare il buon Eduardo, è chiaro che l’esame più bello, difficile e stimolante resta sempre e soltanto uno: quello della vita.