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Il sito di Luca Di Nunzio

La natura non può più aspettare

Posted on 13 Dicembre 201517 Dicembre 2015

earDopo oltre quattro anni ho ritenuto potesse essere giunto il momento di dedicare un post all’ambiente e a tutti mali che lo affliggono, quotidianamente e ad ogni latitudine. Alcuni fattori mi hanno stimolato a buttare giù alcune piccole riflessioni, in primis il fatto di vivere in Abruzzo, la cosiddetta “Regione Verde d’Europa”, locuzione creata alcuni decenni fa a testimonianza della vocazione prettamente naturalistica della nostra terra, sede di innumerevoli Parchi, Riserve ed Oasi protette. Sono originario di Borrello, un paese in provincia di Chieti dove si trovano le Cascate Naturali più alte d’Italia, sono circondato da amici, colleghi e conoscenti che dedicano alla Natura e al Territorio gran parte del loro lavoro o tempo libero, testimoniandomi quotidianamente la bellezza e la purezza di alcuni nostri posti, tutto questo grazie anche al potere – alcune volte benefico – dei vari Social Network: il trekking, la bicicletta, gli eremi, la montagna, gli scorci marini alimentano costantemente la sezione “notizie” di Facebook.
Ma per una sorta di assurda legge del contrappasso, proprio nella nostra “Regione Verde d’Europa” iniziano a proliferare soprusi, maltrattamenti del paesaggio, a volte vere e proprie violenze nei confronti dell’ambiente. Nel corso degli ultimi sessant’anni c’è stato tanto progresso, sono state create infrastrutture necessarie e molte strade utili (anzi, c’è ancora qualcosa da completare), ma già su queste tematiche si potrebbe aprire un dibattito sul “come” tutto ciò sia stato fatto. Basta fare un giro per la regione per trovare viadotti crollati prima dell’inaugurazione, intere palazzine pubbliche costruite e mai inaugurate, andate in malora nel tempo, e ancora, percorsi stradali progettati in malo modo privilegiando scempi visivi dal punto di vista naturalistico e che si sarebbero potuti evitare valutando progetti alternativi maggiormente sostenibili. Negli ultimi anni, inoltre, abbiamo iniziato ad assistere a gravi fenomeni di dissesto idrogeologico generati presumibilmente da un duplice motivo: da un lato l’incuria dell’uomo nella scelta di posti, mezzi e materiali per costruire e dall’altro il surriscaldamento generalizzato dell’atmosfera che sta iniziando a modificare sensibilmente il naturale ritmo delle stagioni e dei relativi climi. Da qualche decennio, sbandierando il vessillo dell’energia alternativa, si sono riempiti di pale eoliche spazi incantevoli, senza valutare il necessario impatto su natura e turismo. Nulla in contrario rispetto all’eolico in sé, ma a patto che vengano sempre fatte serie analisi “costi/benefici” e che non si proceda solo per sfruttare in maniera maldestra bandi e finanziamenti comunitari.
Da qualche anno sull’Abruzzo si aggira uno spettro immane e pericoloso, tanto da unire nella lotta e nella protesta varie forze politiche, spesso di diversa estrazione; è il caso del progetto conosciuto come “Ombrina Mare”, che prevede operazioni di trivellazione intensiva in prossimità del litorale adriatico chetino, ossia in quei luoghi che circa un Secolo fa ispiravano le stupende liriche di Gabriele D’Annunzio e che ancora oggi fanno innamorare i turisti di tutto il mondo, incantati di fronte ai Trabocchi, splendide costruzioni in legno sul mare divenute simbolo della regione anche durante l’ultimo Expo.
Quale vergogna, poi,  aver dovuto assistere in tv alla grande cassa di risonanza avuta (a ragione, sia chiaro) dal “caso della discarica abusiva di Bussi”,  un ultra decennale ricettacolo di morte e inquinamento, proprio a ridosso delle sorgenti del Pescara!
Il quadro regionale non si discosta poi tanto da quello nazionale, dove alla grande sensibilità di alcune regioni (penso al Trentino o la Valle d’Aosta) si contrappone una serie innumerevole di abusi, soprusi e delitti contro la nostra terra. E quest’ultima recentemente ha iniziato a “vendicarsi”, abbattendosi, sottoforma di calamità atmosferiche di una portata mai vista prima, su tutto lo stivale, ormai due o tre volte l’anno.
Basta poi spostare l’orizzonte oltre confine per vedere quello che la verdissima Germania ha provocato tramite una delle sue aziende simbolo, la Wolkswagen, capace di truccare le rilevazioni computerizzate per nascondere le irregolarità nelle emissioni inquinanti di alcune sue auto.
Voglio chiudere il lungo elenco di esempi poco edificanti parlando delle due superpotenze economiche mondiali: gli USA e la Cina. I primi hanno troppo spesso snobbato i summit per l’ambiente, limitando quasi sempre al minimo il proprio impegno nella riduzione dell’inquinamento, forte del proprio ruolo egemone nell’economia mondiale, la seconda è arrivata, negli ultimi giorni, a dover chiudere scuole, fabbriche, a vietare alla gente di uscire di casa a causa dell’ormai insostenibile livello di inquinamento causato negli ultimi anni del suo smisurato e maldestro sviluppo: a Shanghai l’inquinamento supera di 15 volte il limite consentito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, il cielo è eternamente grigio e in occasione delle parate e dei grandi eventi viene spruzzata nell’aria una sostanza che possa temporaneamente far tornare il celeste per qualche ora! La globalizzazione non ha mai affrontato in maniera seria il problema ambientale.
Negli ultimi cento anni la temperatura è aumentata di quasi 0.7° C, ad una velocità mai vista durante milioni di anni; il livello dei mari è cresciuto di quasi 20 cm e la concentrazione di gas serra nell’aria è arrivata a valori non più sostenibili. I convegni di  Rio, Kyoto, l’Aja, Davos hanno cercato di affrontare il problema, imponendo però troppo spesso tenue riduzioni e poche sanzioni. Forse solo il Protocollo di Kyoto del 1997, il cui protagonista fu il vice presidente a stelle e strisce Al Gore –  poi insignito del Premio Nobel per la Pace – ha provato a dare un minimo di regolamentazione imponendo una riduzione, seppur blanda, delle emissioni di gas serra, anche se spesso disattesa dai paesi allora emergenti, quali Brasile, India e la stessa  Cina.
La situazione è arrivata ad un punto di non ritorno, lo stesso Barack Obama ha ammesso in parte le colpe della propria nazione e, non ultimo, Papa Bergoglio, nella sua enciclica Ludato Si’, ha voluto porre l’attenzione sulla pericolosa deriva sul fronte ambientale.
Mentre scrivo arrivano i vari dispacci di Agenzia sull’esito finale della XXI Conferenza ONU sul Clima tenutasi nelle ultime settimane a Parigi. Che si fosse di fronte ad un convegno diverso dagli altri lo si è capito subito, quando il primo giorno si sono presentati i capi di Stato e di Governo in persona, dando il via ai lavori con discorsi piuttosto seri e coscienziosi. Negli altri anni spesso si era assistito ad inaugurazioni affidate a Ministri e Rappresentanti delegati da Premier e Presidenti. A detta dei protagonisti sembra si sia arrivati alla definizione  di punti a dir poco rivoluzionari nella storia della lotta ai cambiamenti climatici; gli ambientalisti, molto più cauti, ritengono le misure adottate ancora insufficienti a scongiurare l’impatto dei cambiamenti climatici sui Paesi più poveri.
In sostanza per la prima volta quasi all’unanimità si è raggiunto un compromesso, che prevede l’impegno da parte delle singole nazioni a contenere l’incremento della temperatura media  al di sotto dei 2 gradi rispetto all’era pre-industriale con un ulteriore impegno a fare quanto possibile per limitarne l’aumento a 1,5 gradi.
Inoltre i Paesi si sono impegnati  a comunicare periodicamente i progressi raggiunti, con tanto di verifiche a cadenza prestabilita.
Una canzone a sfondo ecologista, scritta da un mio compaesano, Aregentino D’Auro, quasi 40 anni fa (si potrebbe dire un precursore dei tempi!)  recitava “Tutti  dicono: Salviamo! Salviamo! Ma quelli che possono non lo fanno….” Speriamo che “i Potenti che possono” abbiano davvero iniziato a cambiare qualcosa, anche piccola, per salvare la nostra terra, per salvare noi, i nostri figli e le successive generazioni.

 

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