Alcune sere fa, in occasione del 25esimo anniversario dell’assassinio di Libero Grassi, la RAI ha proposto una fiction in cui sono stati passati in rassegna gli ultimi mesi di vita dell’eroico imprenditore siciliano che combatté la sua battaglia di libertà contro la mafia e il meccanismo del “pizzo”.
Come già scrissi 3 anni fa, in occasione del telefilm dedicato dalla RAI alla figura di Adriano Olivetti, nella maggior parte dei casi, le fiction della nostra rete pubblica sono fatte male, edulcorate con storielle pseudo romantiche inventate ad arte e, soprattutto, lasciano molto a desiderare dal punto di vista strettamente cinematografico; per alcuni aspetti la fiction “Io sono Libero” del 29 Agosto non ha fatto eccezione, però questa volta era talmente alto e nobile il tema trattato, che non si può non evidenziare il suo valore, storico ed educativo, soprattutto per le nuove generazioni.
Il tema della legalità, della cittadinanza attiva, dell’educazione civile sono alcuni dei cardini della scuola del futuro e, nella mia esperienza scolastica, ho potuto spesso notare il livello di attenzione mostrato dagli studenti nel momento in cui vengono toccate determinate tematiche, soprattutto se corredate da notizie, documenti, materiale audio e video, aneddoti, esperienze personali: i ragazzi in pochi istanti si sentono pienamente coinvolti e iniziano a manifestare, in un crescendo vertiginoso, la loro sete di sapere, la loro sete di storia, la loro sete di giustizia.
Tornando alla fiction dell’altra sera, ho potuto notare quanto fosse ricca di documenti storici – dagli articoli di giornale alle registrazioni televisive dell’epoca – e spesso corredata da interviste a familiari, trascrizioni delle deposizioni dei pentiti, ricordo dei giornalisti, etc. etc. Tutto ciò aiuta a non dimenticare, aiuta ad aumentare l’interesse verso un problema che ancora oggi affligge l’iniziativa imprenditoriale nelle zone in cui opera la malavita, aiuta la “semina” di legalità (parola forse anche troppo abusata, in vari contesti, mancando troppo spesso l’aderenza con le vicende storiche, concrete, drammatiche, quelle vicende che hanno cambiato la nostra nazione!)
Anche io l’altra sera ho potuto scoprire diversi risvolti grazie alla fiction, sebbene sapessi chi fosse Libero Grassi. Guardando il docu-film, la mente è tornata ad una sera passata davanti al televisore in bianco e nero della mia camera da letto a Borrello, quando assistetti ad uno degli esperimenti televisivi più riusciti della storia della TV italiana, di cui proprio la fiction ha riproposto uno stralcio: la “staffetta” tra Samarcanda Di Michele Santoro, in onda in RAI, e il Maurizio Costanzo Show, in onda sui canali Mediaset, con l’unico intento di divulgare la cultura della lotta alla mafia, esaltando la figura di Libero Grassi, l’imprenditore che volle combattere la mafia, rifiutando di pagare il pizzo, rinunciando alla scorta per sé e chiedendo esclusivamente protezione per i suoi dipendenti, un uomo che della libertà (siamo proprio al caso di “Nomen Omen”) fece una ragione di vita, perdendola.
In una società in cui, soprattutto per i ragazzi (ma non solo), gli eroi appartengono al mondo della musica, dello sport o dello spettacolo, forse il film TV dell’altra sera andrebbe proiettato in tutte le scuole, per evidenziare sia il rigore morale di un imprenditore che non voleva scendere a patti con la mafia, sia le mille sfaccettature del “fenomeno mafia”. Fece molto scalpore – e molto male a Libero Grassi – la sentenza un po’ avventata di un giudice che sostanzialmente quasi sancì la liceità del pagamento del pizzo da parte delle imprese e quindi, implicitamente, anche la “normalità” della richiesta economica da parte della malavita. Sono rimaste storiche le sterili polemiche di un giovane e rampante politico siciliano (che qualche anno fa è finito in galera proprio per rapporti con la malavita) che, agli inizi degli anni novanta, si permise quasi di ridicolizzare in diretta TV la lotta alla mafia, alla presenza in studio – udite udite! – di un colosso quale Giovanni Falcone, e, soprattutto – e questa è forse la cosa più triste – l’indifferenza dei cittadini e degli altri imprenditori verso la battaglia di Libero Grassi, fino a considerarlo quasi un mitomane e un intralcio per gli affari economici delle aziende del posto.
Eccolo, allora, il valore educativo della fiction dell’altra sera: un uomo che avrebbe potuto tranquillamente scendere a compromessi con la mafia (come molte aziende fanno), avrebbe potuto evitare di mettere a rischio la vita sua e della sua famiglia, e invece denunciò tutto chiedendo solo la protezione per i suoi operai e consegnando simbolicamente le chiavi della sua azienda allo Stato.