Credo di aver avuto 4 anni quando ho sentito per la prima volta le note di una canzone uscire da un radioregistratore di famiglia: la Canzone di Marinella di Fabrizio De André mi scopriva un universo fino ad allora sconosciuto, quello della musica.
Negli anni, poi, in molte occasioni mi è capitato di suonare, in pubblico o in privato, canzoni quali Fiume Sand Creek, Don Raffaé o Andrea, continuando ad ascoltare cassette, dischi o cd, eppure solo dopo la morte di Fabrizio De André, avvenuta quasi 15 anni fa, ho iniziato a scoprire davvero la grandezza dell’artista e soprattutto dell’uomo; ricordo come fosse oggi la notizia della sua dipartita, in una fredda giornata di Gennaio del 1999: per la prima volta mi commossi per la morte di una persona non conosciuta personalmente.
A poco a poco ho approfondito la scoperta del suo mondo, cominciando dai primi speciali andati in onda nelle ore successive alla sua scomparsa, riascoltando tutti gli album, cercando materiale in rete, arrivando, con piacere, a scoprire molti dei luoghi a lui cari nel 2005, durante un mio soggiorno per lavoro a Genova: Via del Campo, la Stazione di S.Ilario, le “Creuze” in prossimità di Nervi.
Sebbene di estrazione borghese, Fabrizio De André si mostrò subito come uno “contro” più che un “sostenitore di”. Provare a confinarlo in un genere musicale, in un’ideologia politica, in uno stile letterario sarebbe cosa vana. De André riuscì a scatenare le ire della destra bigotta come della sinistra extra parlamentare, venne sottoposto ai controlli americani per essere sospettato di simpatizzare per le Brigate Rosse e nello stesso tempo era attaccato da colleghi cantautori per essere, a detta loro, troppo poco impegnato.
Dopo quell’11 Gennaio 1999, però, furono tutti pronti a salire sul suo carro (funebre), per celebrarne i fasti, per tesserne le lodi, per addolorarsi per la perdita “di un Vero Poeta”, “di un Grande Amico”, “di uno Straordinario Artista”.
Giustizia, Prostituzione, Riscatto Sociale, Solitudine, Pacifismo, Omosessualità furono solo alcuni dei temi trattati da De André nei suoi testi. Le canzoni contro la guerra, le sue invettive contro tutte le discriminazioni, i suoi versi di condanna degli abusi di potere, vennero censurati fin dall’inizio dalle radio nazionali e canzoni come La Ballata del Miché o La Guerra di Piero non riuscirono a trovare posto nei palinsesti radiofonici dell’epoca: lo Stato italiano non permetteva di parlare esplicitamente di sesso o suicidi, o di trattare tematiche religiose malviste dal “potere temporale” occulto della Chiesa.
In un verso di una sua canzone penso sia rinchiusa la summa di tutto il suo pensiero, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”; per De André, che sicuramente non fu del tutto incline alle dottrine cattoliche, gli Ultimi furono sempre i Primi.
Quel suo modo di pensare, sempre proteso a capire le ragioni dell’altro e in generale i disagi dell’uomo, lo portò addirittura ad un eccesso di comprensione per uno degli eventi più terribili della sua vita privata: il rapimento, suo e di Dori Ghezzi, da parte dell’Anonima Sarda, a fine anni Settanta; quattro mesi sotto sequestro, sul filo della morte, un riscatto pagato profumatamente e la sue prime dichiarazioni dopo il rilascio furono quasi di pietà e perdono per i sequestratori. Ascoltare la canzone Hotel Supramonte, ispirata a quella triste vicenda, è ancora oggi un’emozione per me unica.
Dal punto di vista musicale, va sottolineata la sua abilità nell’abbracciare vari generi, da quello iniziale ispirato agli Chansonniers francesi, a quello più vicino alla tradizione del folk americano, che lo portarono ad incidere anche alcune cover di Leonard Cohen e di Bob Dylan.
La decisione, poi, di rilanciare, dopo un periodo di leggero oblio, la sua figura e le sue canzoni, in un tour indimenticabile con la PFM fu una delle scelte più indovinate della storia della musica leggera italiana: gli arrangiamenti progressive di Mussida & Co. dettero nuova linfa alle melodie del cantante genovese, portandolo all’attenzione di un nuovo pubblico, di una nuova generazione.
Spesso sentiamo parlare di world music e, a ragion veduta, vengono presi come riferimenti per il genere Peter Gabriel, Paul Simon e tanti altri, eppure l’album Creuza de ma, inciso da De André agli inizi degli anni Ottanta, in collaborazione con Mauro Pagani, fu un vero e proprio spartiacque per la sua produzione e uno degli esempi più riusciti, anche a livello mondiale, di fusione di stili e ricerca di sonorità etniche autentiche; completamente scritto in dialetto genovese è un cameo della sua produzione artistica.
Ancora oggi diversi artisti gli rendono omaggio, pensiamo a Morgan che qualche anno fa ha riproposto a distanza di trent’anni la sua opera Non al denaro, non all’amore né al cielo, una rielaborazione musicale di racconti tratti dall’Antologia di Spoon River , registrato da De André nel 1971, in collaborazione con la scrittrice Fernanda Pivano.
L’ultimo pensiero va alla sua voce: profonda, inconfondibile, sempre la stessa, dalla prime esecuzioni pubbliche fatte insieme a Paolo Villaggio sulle navi in crociera, fino all’ultimo bis cantato nell’ultimo concerto dell’estate 1998, quando si accorse che non riusciva più ad imbracciare una chitarra per il dolore che provava in petto e che ce lo sottrasse meno di sei mesi dopo.